Jack Nicholson arriva sul palco per premiare il miglior film dell’anno, ma c’è un clamoroso colpo di scena: in collegamento dalla Casa Bianca la First Lady Michelle Obama. Sarà lei ad aprire la busta che decreterà la vittoria di Argo, bel film di Ben Affleck che nella stagione dei premi a fatto incetta e che nella notte più importante batte gli agguerriti avversari, Lincoln e Vita di Pi su tutti.
Ma prima di passare ai commenti sui premi di questa ottantacinquesima edizione degli Academy Award, è doveroso soffermarsi su quanto appena detto. Quella che infatti viene vista come la più grande industria dell’intrattenimento del mondo si sta infatti trasformando, anche sulla scia della politica culturale e sociale imposta dall’amministrazione Obama. La Hollywood radicale negli ultimi dodici mesi si è dedicata a un cinema che approcci il pubblico in una maniera diversa, per molti versi nuova, o che quantomeno non si vedeva da molti anni.
Lincoln, Zero Dark Thirty, Re della terra selvaggia, Argo, in tono molto minore anche Django Unchained, sono film didattici, politicamente e socialmente importanti, che lanciano messaggi potenti. L’attenzione che viene loro riservata da parte dell’amministrazione centrale è un segnale di fiducia straordinario di cui avrebbe bisogno anche il movimento cinematografico italiano, a cui servirebbe però anche una leadership di categoria capace di razionalizzare il caos che regna in questo momento. Ma evidentemente il cinema, e quindi la cultura, non è poi così importante nel nostro paese.
Detto ciò, Argo è stata la scelta più equilibrata, un film solido, con una produzione alle spalle molto vicina alla presidenza e una bella storia da figliol prodigo come quella di Ben Affleck, benedetto da un Oscar per la sceneggiatura quando era un giovincello e poi finito in un vortice di fiaschi da cui sembrava non avrebbe mai recuperato. E invece eccolo scoprirsi regista di talento.
Il grande sconfitto della serata è Steven Spielberg, ma la delusione è stata sicuramente lenita dall’Oscar a Daniel Day-Lewis come miglior attore, il terzo da protagonista, record assoluto, a cui si aggiunge quello per la direzione artistica.
Ang Lee è invece la sorpresa di quest’anno, con i quattro Oscar per Vita di Pi. Fotografia, effetti visivi, colonna sonora, ma soprattutto regia. Un premio quest’ultimo magari un po’ generoso, ma che voleva essere un riconoscimento all’opera complessiva, che ha emozionato e messo d’accordo tutti.
In generale, quest’edizione degli Oscar ha visto un’equa distribuzione, anche se molti premi sono stati forse male indirizzati. I costumi sono andati ad Anna Karenina, magnifici, ma decisamente inferiori al concept della compianta Eiko Ishioka per Mirror Mirror. La fotografia di Vita di Pi era notevole, ma il lavoro di Roger Deakins su Skyfall di assoluta eccellenza. E a questo proposito, per la prima volta un Bond Movie entra nel palmares degli Oscar: era ora.
La Pixar porta a casa il suo ennesimo, meritatissimo Oscar con Brave, mentre meno meritate sono le due statuette a Django Unchained. La sceneggiatura è una delle meno riuscite di Tarantino, mentre il secondo premio in pochi anni a Christoph Waltz, per un’interpretazione oltretutto non troppo diversa da quella di Bastardi senza gloria, è uno sgarbo a monumenti come Alan Arkin e Robert De Niro, davvero eccezionali in Argo e Il lato positivo, che si è rifatto con Jennifer Lawrence, che ruzzoloni a parte si è portata a casa un giusto riconoscimento senza rubare niente, neanche a Jessica Chastain. Lascia più perplessi il riconoscimento come migliore attrice non protagonista: i gorgheggi di Anne Hathaway nell’orribile Les Miserables lasciano decisamente il tempo che trovano se confrontati alla sontuosa Amy Adams di The Master.
Ma sapete come si dice: sono gli Oscar, bambina.
Alessandro De Simone