La guerra al cinema si basa su quattro film dai quali non si può prescindere. Due sono di Stanley Kubrick, Orizzonti di gloria e Full Metal Jacket. Il primo è un manifesto del pacifismo, il secondo una cronistoria della follia e della stupidità dell’uomo. Poi viene Steven Spielberg e il suo Salvate il soldato Ryan, crudo realismo che ricrea sul grande schermo lo sbarco in Normandia. Nel suo condannare ogni forma di conflitto bellico, altrettanto realisticamente afferma che, non essendo in un mondo ideale, combattere talvolta è necessario per difendere la libertà individuale e collettiva. Infine, c’è La sottile linea rossa.
Dopo una breve pausa di appena vent’anni, nel 1998 Terrence Malick decide che è arrivato il momento di tornare dietro la macchina da presa. Lo fa raccontando uno dei momenti più tragici della Seconda Guerra Mondiale per il popolo americano, la battaglia dell’isola di Guadalcanal, avamposto strategico fondamentale dell’Oceano Pacifico in mano alle truppe dell’impero giapponese. Le lunghe settimane dello sfiancante assedio vengono raccontate attraverso le vite dei tre giovani soldati Witt, Bell e Fife. Attorno a loro sfilano le esistenze di compagni e superiori, immersi in una natura selvaggia e meravigliosa che cerca di far scomparire l’orrore dei barbari gesti di cui è testimone.
La sottile linea rossa riprende un discorso interrotto
Il mondo è al centro di tutto, palcoscenico naturale delle gesta inutili e piccole degli uomini, incapaci di vedere la vita come un continuo divenire, più preoccupati di un’immanenza futile piuttosto che di un futuro da costruire. Era così per Kit e Holly ne La rabbia giovane, così come per Bill e Abby ne I giorni del cielo, coppia quest’ultima che lascia una parvenza di eredità nella memoria della giovane Linda, uno sperduto fiore dell’America, come le vite spezzate dei suoi fratelli e amanti mandati al macello tra spiagge europee e mari lontani.
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Malick, attraverso i monologhi interiori dei protagonisti e le assurde situazioni che solo la guerra può far accadere a un uomo, come la straziante scena della mutilazione di Woody Harrelson a causa di una bomba sfuggita di mano, fa de La sottile linea rossa non un film di guerra o sulla guerra, né tanto meno un’opera pacifista a tutto tondo, ma un trattato filosofico esistenziale in cui ritroviamo le basi della letteratura umanista americana, da Ralph Waldo Emerson a Walt Whitman, passando per varie dottrine filosofiche orientali e diverse branche della psicanalisi.
Al centro di tutto c’è l’uomo, il suo rapporto con la natura, con i sentimenti, con se stesso. Girato in maniera strabiliante, con un ritmo tutt’altro che da film di genere, ma con delle accelerazioni repentine che lasciano a bocca aperta per la perfezione della tempistica, La sottile linea rossa è l’evoluzione naturale della poetica di Malick, proiettato verso The New World la cui personalissima visione avrebbe poi fornito nell’omonimo film del 2004.
La sottile linea rossa non è un’opera di raccordo
Né di cesura, piuttosto di sviluppo, sia di un nuovo linguaggio cinematografico, più moderno e allo stesso più narrativamente estremo e primitivo, che di una nuova concezione del mondo. Orso d’Oro alla Berlinale 1999, La sottile linea rossa vanta la credit list probabilmente più ricca della storia del cinema, da George Clooney a John Travolta, John C. Reilly, Nick Nolte, John Cusack, John Savage, e la maggior parte di queste star si vede solo per pochi secondi, mentre altri sono stati addirittura tagliati in fase di montaggio.
Malick lascia più spazio ai giovani protagonisti, portatori del suo messaggio, al saggio e sperduto capitano Bugger, un eccezionale Elias Koteas, e al duro sergente Edward Welsh, Sean Penn, pragmatico conoscitore delle cose della vita, guida nolente di quei ragazzi destinati al sacrificio piuttosto che all’amore.
L’amore: motore dell’esistenza, nel suo piacere e nei suoi dolori, necessari, reali, persistenti, lancinanti quanto e più di un proiettile nello stomaco, spesso altrettanto letali. Terrence dal Texas sa parlare anche di questo, ribadendo il concetto che la Terra è il regno di chi genera la vita e non di chi la distrugge.
Un’immensa e complessa opera multisensoriale
Riempie occhi e orecchie con tale pienezza che si finisce con il poter toccare con mano quello che si vede e si sente, ma soprattutto è un trattato di straziante umanità, tra eroismo e mediocrità, ascesi e dannazione, follia e raziocinio, amore e odio, gelosia e fiducia. Tutte cose che, messe insieme, rendono ogni persona unica e degna di essere incontrata, salvo poi perderla nel naturale corso degli eventi e ritrovarla, forse in un altro tempo, un altro luogo.