Il cinema può essere lo specchio che riflette fedelmente o in maniera distorta e astratta la realtà che ci circonda, il tempo che stiamo vivendo, che abbiamo vissuto e in proiezione quello ci apprestiamo – tra dubbi, ombre, incertezze, paure, fantasmi che ci tormentano e scheletri nell’armadio – a vivere nei giorni che verranno. In questo senso, L’industriale di Giuliano Montaldo è un film emblematico.
Come una cartina tornasole
Quasi una premonizione o presagio che pende sulle nostre teste e che puntualmente ha trovato riscontro nella crisi imperante che sta travolgendo lo stivale (e non solo) in questi ultimi anni, arriva nelle sale un film come L’industriale a ricordarci che non spetta solo alla tanto celebrata new wave della commedia made in Italy il compito di raccontare avventure e disavventure, fatti e misfatti, del nostro Paese.
A trasporla visivamente da dietro la macchina da presa Giuliano Montaldo, ma l’arma in suo possesso in questo film – come in molti da lui realizzati in passato – non è stata di certo l’ironia, perchè sulla crisi che stiamo attraversando c’è davvero poco da ridere:
“Quando abbiamo pensato il film la situazione non era ancora questo tsunami che si è abbattuto sull’ Europa. Leggiamo ogni giorno cose terribili, miliardi bruciati… Si dà la colpa alla Grecia, alla Spagna, e ora il cerino brucia anche nelle nostre mani. E gli usurai sono pronti a divorare chi ha bisogno di aiuto. Il personaggio di Favino non ci sta…”
Proprio l’attore romano, che ne L’industriale interpreta al fianco di Carolina Crescentini il ruolo di un imprenditore travolto dai debiti, esprime così il suo pensiero:
“Come attore, racconto quel che capita alle persone. Siamo colpiti dalla crisi nelle tasche, e più gravemente nella nostra emotività. Cosa di cui non si parla finche qualcuno non compie gesti estremi. Ricordo nel 2008 imprenditori suicidi e gente bloccata dai debiti. La crisi influisce su quello che puoi sentire, qui la storia è di un quarantenne, ma che succede a chi ha tra i 18 e i 25? Si parla di pianeta giovani ma non si dice cosa vuol dire levare alle nuove generazioni la possibilità di sentirsi integrati. È grave e le conseguenze si raccolgono dopo. Il mio personaggio usa la tenacia nel lavoro, che poi si trasforma in una condanna. Cosa hanno significato in questi anni l’aggressività e l’arroganza come aspetto vincente della personalità maschile?ora tanti pensano di essere soli, e vedere questa cosa rappresentata in un film aiuta, se hai i debiti ti senti abbandonato a se stesso… Ora sembra si possa parlare di crisi al cinema ed è importante che si faccia, che si rappresenti… Fa bene sapere che altri sono nella stessa condizione. Negarlo dicendo che il pubblico vuole ridere e basta è sbagliato”.
E in tal senso, a rincarare la dose giunge impietoso il commento di Andrea Purgatori, che de L’industriale è co-sceneggiatore:
“Vorrei invitare Passera e Monti a vedere la prima del film, se il cinema torna a raccontare il Paese forse chi lo guida potrebbe avere un suggerimento, un’intuizione. Monti è andato da Fazio riconoscendo al servizio pubblico la capacità di spiegare la politica alla gente, se viene al cinema dà al cinema il riconoscimento di elemento strategico nella cultura”.