La morte di Bud Spencer ha lasciato un vuoto nei cuori di molte persone, compresi noi. Un attore che, insieme a Terence Hill, è stato una delle colonne del cinema italiano per ben cinque generazioni. In passato abbiamo avuto l’enorme piacere di incontrarlo, in una intervista più unica che rara. Solo noi di The Cinema Show, insieme ai nostri miti Bud e Terence, per oltre un’ora, a ripercorrere tutto il loro cinema. Un’esperienza a dir poco emozionante e irripetibile.
Questa è un’intervista che fu pubblicata sul mensile di cinema Hotdog nel febbraio 2007. L’abbiamo trascritta e vogliamo riproporvela. La rivista non esiste più, e a noi è parso doveroso restituire i ricordi di Bud e Terence al loro pubblico, in qualche modo.
Quindi ecco a voi quel lungo incontro con Bud Spencer e Terence Hill ad Assisi, in occasione di una retrospettiva a loro dedicata.
di Federica Aliano e Alessandro De Simone
Quasi quarant’anni di carriera insieme, una serie impressionante di film di successo e di incassi da capogiro, in coppia e anche da soli. Già, perché queste due colonne del cinema italiano hanno saputo lavorare alla grande sia insieme che divisi. Impossibile non ricordare il poliziotto napoletano dal cuore d’oro Piedone, creato da Steno su misura per Bud Spencer, oppure le incursioni americane di Terence Hill come Mister Miliardo e Poliziotto Superpiù. […] L’affetto nei confronti di queste due icone è rimasto immutato negli anni, merito anche di una professionalità davvero rara al giorno d’oggi e di una formula che non ha mai smesso di funzionare.
Bud Spencer e Terence Hill possono tranquillamente essere considerati alla stregua di una coppia comica leggendaria come Stan Laurel e Oliver Hardy, con l’aggiunta di una rispolverata delle più classiche e genuine gag del cinema comico muto. Ovviamente le torte in faccia sono state sostituite dalle panche di legno di balsa spezzate sulla schiena di Bud e dalle acrobazie di Terence nel tirare sganassoni, ma il segreto del loro successo è anche questo stretto legame con la grande tradizione comica, unito da una serie di elementi collaterali che hanno creato un’alchimia quasi impossibile al giorno d’oggi e non solo in Italia. […]
Bud e Terence non se la menano con frasi stucchevoli tipo “Siamo amici da sempre”, “Siamo inseparabili”, ma poi li vedi insieme e capisci cosa voglia dire davvero l’amicizia, quella che ha funzionato sullo schermo e che continua ad accompagnarli nella vita.
Voi avete lavorato insieme sin da Annibale…
Bud: Mah, questa storia di Annibale noi non la sapevamo, non ci conoscevamo nemmeno. Abbiamo girato separatamente le scene, non ci siamo mai incontrati sul set.
Perciò la vostra collaborazione inizia effettivamente nel 1967 con Dio perdona, io no! e dura di fatto 35 anni. Come avete fatto a mantenere vivo nel pubblico il desiderio di vedere i vostri film?
Terence: Ci siamo centellinati, abbiamo fatto un film insieme all’anno, nonostante distributore e produttore volessero che ne girassimo anche due o tre. Ma noi ce lo siamo detto subito: se vogliamo durare, non possiamo bruciarci.
Bud: E quando non lavoravamo insieme, facevamo i film per cavoli nostri.
Il grande successo comunque è arrivato con i due Trinità…
Bud: No, i soldi li aveva fatti anche Dio perdona, io no!
Terence: In effetti questa è una cosa che non è mai stata presa in grossa considerazione. Noi siamo arrivati un po’ tardi nel western. Io ne avevo girati un po’ in Germania e vedevo che nel 1964, quando Leone girò Per un pugno di dollari, io avevo già perso il treno. Quando ci trovammo sul set di Dio perdona, io no!, il genere in Italia aveva già stancato e il sucesso di quel film, che era comunque molto particolare, ci sorprese. Ma erano film fatti bene, diretti da registi bravi che giravano in velocità con pochi soldi, e che vendevamo molto bene all’estero. Il western in Italia era finito all’inizio degli anni Settanta e proprio allora arrivò Trinità. Ma anche in questo caso non possiamo prenderci il merito, non avevamo mica detto “Questo film lo facciamo più comico per superare questo momento di crisi”. Se abbiamo un merito è quello di aver apprezzato il copione e di aver chiesto di ampliare la parte di Bambino per poter lavorare ancora di più insieme.
Com’è avvenuto il passaggio dal western al vostro cinema successivo?
Terence: Dal desiderio di non ripetersi, e oggi come oggi diciamo pure che è stato un peccato, perché Enzo Barboni, il regista di Trinità, aveva pensato a un titolo bellissimo: … e insistevano a chiamarlo Trinità. Ma all’epoca non c’era stato Stallone che aveva fatto 5 Rocky, quindi due sequel sembravano troppi. Cercammo allora un’ambientazione diversa e ce ne andammo in Colombia nei panni di due piloti a girare Più forte ragazzi.
Parliamo dei vostri nomi: come sono nati?
Terence: Il mio l’ho scelto da un elenco. Avevo solo poche ore per trovarmi un nome d’arte che suonasse americano. Mi hanno dato questa lista di nomi che suonavano bene. Ho studiato lettere antiche, amo Terenzio, quindi…
Bud: Nessuna lista per me! Avevo una bottiglia di Bud proprio davanti agli occhi, è la mia birra preferita, è stata una cosa automatica. Poi Spencer Tracy è sempre stato il mio attore preferito, quindi è stato facile.
C’è una gran polemica attorno alla nuova generazione di doppiatori che non è all’altezza di quella precedente. Voi invece vi siete costruiti una carriera anche grazie al doppiaggio.
Bud: Non è esatto. All’inizio sì, venivamo doppiati, ma c’era una cosa importantissima da considerare, ovvero che tutti i nostri film venivano girati in inglese, perché già in fase di produzione erano venduti all’estero.
Terence: Poi in quegli anni non ci si poneva neanche il problema: si faceva e basta. E noi abbiamo avuto la fortuna di avere due doppiatori eccellenti, Pino Locchi per me e Glauco Onorato per Bud. È un po’ come successe per Clint Eastwood nei film di Sergio Leone: la voce di Eastwood era completamente diversa da quella di Enrico Maria Salerno, che però era uno dei migliori attori italiani, quindi il peso dell’interpretazione era decisamente diverso in questo modo.
I vostri film sono sempre stati un’alchimia perfetta, dalla collaborazione con Enzo Berboni alle musiche dei fratelli De Angelis, alle storie sempre divertenti. Come riuscivate a creare ogni anno un successo?
Bud: Nessuno lo sapeva, nemmeno gli sceneggiatori. Era tutto un automatismo perfetto. Abbiamo visto cose inaudite in tutta Europa; in Svezia, nonostante la visione fosse con i sottotitoli, portavano via gli spettatori dal cinema con l’ambulanza per quanto ridevano!
Film di serie A e di serie B: noi non facciamo questo tipo di distinzioni, anche perché i vostri film hanno sovvenzionato tanto cinema d’elite. E poi voi siete ancora dei campioni d’incasso…
Bud: Siamo meglio di Via col vento! Variety ha fatto un calcolo degli incassi, considerando il tasso d’inflazione, e siamo ancora i migliori.
Una cosa che all’epoca dava una certa sicurezza anche a chi lavorava con voi.
Bud: Chi lavora nel cinema non ha certezze. Con noi era diverso perché avevamo successo e avevamo un po’ più di libertà nelle scelte, sebbene i produttori non volessero perché preferivano scegliere loro le maestranze. Noi abbiamo lavorato sempre con la stessa troupe di dodici stuntmen, gli stessi elettricisti, i macchinisti, i tecnici. Erano bravi, magari chiedevano un po’ di più, ma per noi era automatico chiamarli, perché altrimenti i film non sarebbero venuti fuori. Noi per esempio ci fidavamo ciecamente del nostro maestro d’armi, quello che oggi si chiama stunt coordinator.
Terence: Giorgio Ubaldi. Era il migliore.
Bud: E poi i cavalli: questo qui è fissato con i cavalli, prendeva sempre i migliori!
Poi a un certo punto avete cominciato anche a prendere le vostre strade, con la serie di Piedone per Bud e la carriera Americana per Terence…
Terence: Quando non lavoravamo insieme dovevamo lavorare per forza su altre cose. La vera divisione c’è stata quando abbiamo capito che era finito il nostro tempo.
Ma un progetto nel cassetto magari lo avete ancora…
Bud: Noi abbiamo sempre pensato di tornare insieme, ma è una cosa che si dice e poi finisce lì, perché dobbiamo considerare tanti fattori, dalla storia alle nostre condizioni fisiche, e soprattutto a quello che il mercato richiede.
Terence: Oggi i tempi sono cambiati.
Bud: E poi i progetti non esistono. Io ero già adulto quando mi sono iscritto a Chimica, Giurisprudenza e Sociologia, l’ultima per spronare mia figlia allo studio. Ragazzi, non fate mai programmi nella vita!
Per un certo periodo era circolata la voce che vi si potesse vedere in un Don Chisciotte diretti da Ermanno Olmi.
Bud: Sì, ma non avevano considerato che su Don Chisciotte si può fare una satira, mentre noi dovevamo far ridere. Terence non ha neanche mai visto il copione, perché quando si arrivava al punto in cui i due protagonisti incontravano il Mago Merlino che li catapultava nel 2000, allora la cosa non funzionava più. Dobbiamo ricordarci che il Cervantes e la sua opera possono essere paragonati a Dante per grandezza, e francamente non era il caso di fare una cosa del genere.
Il cinema ai vostri livelli dicono dia l’immortalità.
Terence: No, non credo. Non ci ho mai pensato.
Eppure qua fuori c’era un nugolo di ragazzini dagli otto anni in su che facevala fila per un vostro autografo e, quando passa un vostro film alla televisione, fa ancora numeri da fare invidia alle partite di calcio…
Bud: Abbiamo fatto ridere cinque generazioni con i nostri film.
Ci deve essere un segreto!
Bud: Non c’è nessuno come noi due. Attenzione: noi abbiamo avuto successo anche da soli, ma insieme siamo imbattibili, gli spettatori conoscono i film a memoria!
Il vostro cinema è slapstick all’italiana, e forse oggi solo Jackie Chan fa lo slapstick.
Bud: Sì, ma nei film di Jackie Chan c’è una buona dose di violenza, mentre nei nostri non c’era. Noi facevamo semplicemente ridere.
Terence: Il nostro slapstick ha una connotazione credibile. Barboni raccontava sempre una barzelletta a proposito di un romanzo al cinema, a guardare un western in cui l’eroe in un secondo ammazzava sei persone e tutta la platea si lamentava, tranne uno spettatore che commentava: “Se po fa’, se po fa’…”. L’abbiamo sempre tenuta a mente. Bud sollevava davvero quattro uomini che gli saltavano addosso! Io non sono mai stato un granché a fare i salti mortali, e allora facevo un’altra figura, ma la facevo davvero io e questo rendeva tutto molto credibile. Credo che quella fosse una marcia in più, così come il fatto che non abbiamo mai avuto controfigure.
I vostri combattimenti erano delle coreografie vere e proprie, basate sulla tempistica, preparate alla perfezione per far sì che nessuno si facesse male.
Terence: Quando abbiamo fatto Trinità eravamo tutti entusiasti di Sette spose per sette fratelli e cronometrammo la scazzottata del film, decidendo che dovevamo farne una lunga quanto quella. Ci mettemmo circa dieci giorni, con Ubaldi che scandiva il ritmo per ogni colpo che tiravamo, per ogni schivata o per ogni caduta.
Bud: E poi c’era una componente di fortuna. Noi siamo partiti con un protagonista, Terence, bello e con gli occhi celesti, perché i protagonisti erano i belli, come Giuliano Gemma e Franco Nero. Poi sono arrivato io: brutto, grosso, buono e un po’ meno intelligente di lui, subivo delle cose in cui la gente si identificava. Chi è che non avrebbe voglia di dare una lezione al capoufficio? Guardando me pensava di poterlo fare.
Bud, tu hai sempre avuto una grande passione per il ballo e hai scritto anche molte canzoni, persino per i vostri film…
Bud: Ho scritto canzoni per anni, anche per Nico Fidenco e Ornella Vanoni, senza conoscere la musica. Mi mettevo lì, con il dito sul pianoforte e poi chiedevo a qualcuno di scrivere quello che componevo a orecchio. Canto e non ho mai fatto una scuola, non so neanche cosa sia il diaframma. In Charleston ho ballato, in un altro film ho suonato il sax. Addirittura a 45 anni ho preso il brevetto da pilota e fatto la trasvolata atlantica dagli Stati Uniti all’Irlanda. È l’anima del dilettante che ho sempre avuto e che mi ha portato a fare delle cose che, non so come mai, mi sono riuscite. Solo due cose non ho mai fatto nella vita: il ballerino d’opera e il fantino.
Voi eravate due personaggi contrapposti, ma complementari: Bud quello tranquillo che vuole stare fuori dai guai e Terence quello che invece i guai se li va a cercare. Anche quella è una maniera per fa sì che il pubblico si identifichi.
Bud: Sì, è vero: lui doveva sempre fare i casini, aizzare tutti e usare me come parafulmine. Ma è sempre anche questione di fortuna, perché se nel momento in cui siamo usciti fuori ci fosse stato qualcun altro capace di fare quello in cui noi non eravamo bravi, magari non sarebbe stata la stessa cosa. O magari c’era, ma non era bravo quanto noi e finché nessuno ci batteva… Io sono stato campione di nuoto italiano per dieci anni di seguito perché per dieci anni non c’è stato nessuno che mi ha battuto. Non c’è alcuna differenza.
Dopo quarant’anni che vi conoscete, definitevi a vicenda.
Terence: Semplice: è grande, in tutti i sensi.
Bud: Di difetti ne ha pochissimi, nonostante sia un attore. Il pregio maggiore è la sua tenacia, derivante probabilmente dalla mamma tedesca. E poi i suoi valori, che sono la cosa più importante.