Rogue One: quando a un film bastano poche parole. Per farlo. Il bello dell’inventare storie è che vale tutto. Puoi creare mondi interi dal nulla. O anche da una semplice frase, buttata lì in un film e poi trascurata per quarant’anni. Poi magari rivedi questo film e ti rendi conto che dietro quelle poche parole c’è un mondo, e c’è davvero. Non lo costruisci, lo vai a cercare, perché è lì da qualche parte e una volta trovato scoprirai nuove vite che erano state dimenticate, perché la Storia va avanti e gli eroi non sempre vengono celebrati, molti muoiono per la gloria di altri.
Rogue One deve tenere conto dell’epica.
Ecco, c’è tutto questo in Rogue One: A Star Wars Story, e per questo è un film che va ben oltre il concetto di spin off o prequel. Rogue One è epica, è l’equivalente stellare del ciclo arturiano o de L’Orlando Furioso, è la celebrazione di una particolare categoria di paladini, quella che della Forza aveva consapevolezza e non timore.
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Così come non ha avuto alcuna paura Gareth Edwards, autore tra i più interessanti e completi delle ultime generazioni americane, nell’affrontare una saga e soprattutto una Corporation che hanno regole d’ingaggio, in tutti i sensi, ben precise.
Ma Edwards è diventato un regista imparando da loro così come dai suoi predecessori degli anni Settanta, e tra tutti quelli che hanno affrontato il materiale di Star Wars è fino adesso quello più vicino a Lucas, quello di Guerre stellari ovviamente, e forse ancora di più di American Graffiti.
Rogue One: un buon film deve essere scritto bene
E questo è un film scritto magnificamente, non a caso da due sceneggiatori di razza come Chris Weitz e Tony Gilroy, e diretto alla stessa stregua, con una libertà e una fluidità che la saga non ha forse mai conosciuto e che lo pone subito dietro L’Impero colpisce ancora nella speciale classifica che tutti i bravi nerd (me compreso) hanno nel cuore. Ma non solo, perché Edwards riporta la saga alle origini, pensando Rogue One non come un film di fantascienza, ma come un crocevia di generi, dal western all’action al film di guerra. E lo fa anche con un gusto cinefilo non indifferente, ispirandosi a Sergio Leone, al Kurosawa de I sette samurai, al Coppola di Apocalypse Now. Addirittura a Stanley Kramer e al suo bellissimo L’ultima spiaggia.
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Ottimo il cast, su cui giganteggiano Donnie Yen e delle straordinarie sorprese che ovviamente non lo sono più, ma non sarò certo io a togliere l’emozione a chi non conosce ciò che accade in una galassia lontana lontana.