Trasporre al cinema un’opera letteraria celeberrima è un investimento sicuro, in particolare se parliamo di autori immortali come Shakespeare o, come in questo caso, di Agatha Christie. Per la giallista britannica entra in campo un ulteriore elemento di potenziale successo, quello del cinema di genere che può attirare un pubblico vario, maschile e femminile e con un arco d’età ampio. Devono avere pensato questo alla Twentieth Century Fox quando è balenata loro l’idea di riportare sullo schermo un classico come Assassinio sull’Orient Express, la più intricata e sorprendente delle avventure dell’investigatore belga Hercule Poirot.
Una scelta non facile, visto il poderoso precedente
Diretto da un Sidney Lumet in stato di grazia e interpretato dal migliore dei cast possibili. Albert Finney, Martin Balsam, Lauren Bacall, Anthony Perkins, Sean Connery, Ingrid Bergman (che vinse anche l’Oscar, che divise idealmente sul palco dell’Academy con Valentina Cortese, immensa quell’anno in Effetto Notte). Film straordinario, da lasciare in disparte senza prenderlo come pietra di paragone, perché qualunque confronto sarebbe impari.
Partiamo da qui per parlare della prima avventura di Poirot diretta da Kenneth Branagh, che di trasporre colossi della letteratura al cinema ne sa qualcosa, mangiando pane e Bardo sin dalla tenera età. Cosa che purtroppo gli ha anche dato problemi di ego sconfinato.
E il problema di Assassinio sull’Orient Express è soprattutto qui
Nello scontro tra due personalità strabordanti come il regista e interprete e il suo personaggio principale, “probabilmente il migliore investigatore del mondo“. Branagh ne fa protagonista assoluto, ponendo il resto del cast in secondo piano e relegando l’intreccio a una serie di episodiche intuizioni del detective, a dimostrazione della sua indiscussa, e indiscutibile, superiorità.
Ne viene fuori un pasticcio confuso, in cui il filo logico della scrittura della Christie viene cancellato per arrivare a un finale inutilmente allegorico, in cui Hercule si trasforma in una sorta di Cristo verso il martirio. Decisamente troppo. Come eccessiva è la regia, sempre tesa alla sorpresa, al bel movimento, all’ardito piano sequenza, in un tutto molto fine a sé stesso e privo di un’effettiva narrativa visiva.
Il caso ovviamente è risolto
E ci aspetta un’inaspettata, e anche assurda, sorpresa finale, di cui si sentiva il bisogno, ma non nei termini in cui Branagh ce la propone.
Assassinio sull’Orient Express è un prodotto per una nuova generazione di pubblico, adattato ai suoi gusti ed esigenze secondo un senso industriale. Artisticamente è un’operazione ricca di pecche e una grande occasione persa per creare un franchise classico emozionante e di qualità. Ci sarà, ma per ora senza questi tre elementi.