Si chiama Sharif Meghdoud, vive a Torino, dove è direttore artistico di un pub chiamato Rough Dive Bar. Ma è anche un giovane filmmaker e ovviamente scrive di cinema, o forse è meglio dire “scriveva”, per il sito Shivaproduzioni.com, il portale del cinema indipendente.
Già, perché i suoi ultimi articoli sono stati immediatamente cancellati. Le recensioni di The Favourite, Suspiria, Roma, First Man, non ci sono più. Perché c’erano, esistevano, erano state regolarmente postate sulla sua pagina Facebook, da cui ho desunto tutte queste informazioni. C’erano meno recensioni che selfie, a dire il vero, quelli non mancavano, immagini da cui si scopre che il colpevole del deplorevole gesto in Sala Darsena, alla fine della proiezione di The Nightingale, altri non è che un giovane, molto giovane, a cui sono stati dati una possibilità e un compito che non devono essere presi sottogamba. Non è una giustificazione a ciò che ha detto e fatto, tutt’altro. Però. Forse la colpa non è solo sua.
La mia prima Mostra di Venezia da accreditato stampa risale al 1998. All’epoca ero inviato per una rivista cartacea, Hollywood Magazine, mensile free press della catena videoteche Hollywood. Tiratura 50.000 copie, che andavano esaurite nel corso del mese. Quel festival di Venezia fu il mio primo reportage, con testi e foto – vi allegherei volentieri un’immagine, ma non so proprio dove sia la copia che ancora conservo. All’epoca le proiezioni stampa erano quasi tutte in Sala Perla, tranne quella della mattina in PalaGalileo, quella che oggi si chiama Sala Darsena. Gli accreditati erano pochi rispetto a oggi: quotidianisti, coloristi, periodicisti, critici. Niente web. Fu l’ultimo anno. Già il successivo si iniziarono ad affacciare, nel 2000 erano un po’ di più (quell’anno ero a 35mm.it, avevamo addirittura due stand, di cui uno sulla terrazza dell’Excelsior). Quindi, iniziarono piano piano a dilagare, fino a essere la stragrande maggioranza oggi.
Maggioranza che arriva a seguire un festival senza alcuna formazione, spesso editori di se stessi, pronti a gridare al miracolo e al capolavoro più volte al giorno, e rapidissimi nel ribaltare l’obiettivo della fotocamera dello smartphone per un pugno di selfie. Ma non li biasimo, sono stati meno fortunati di me. Quando nel 1999 feci il mio primo festival di Cannes, ebbi come maestri alcuni dei migliori critici italiani, che mi presero sotto la loro ala e mi insegnarono tante cose, che ho cercato di trasmettere a chi è arrivato dopo di me. Senza alcun risultato, a essere sincero, probabilmente perché sono un pessimo insegnante, ma anche perché ho sempre avuto l’impressione di avere incontrato tanti “nati imparati”. Che ho volentieri lasciato al loro percorso autoformativo.
È giusto sottolineare una cosa. Le riviste on line non sono il male. Ne ho dirette, fondate, aiutate, scritto per. Posso fare un lungo elenco di webzine specializzate ottimamente gestite e dagli ottimi contenuti. Un elenco che sarebbe certamente più breve di quelle che non meriterebbero di essere accreditate a un festival internazionale. Ma che, invece e purtroppo, lo sono.
E in questo caso la responsabilità va attribuita a chi questi accrediti stampa li elargisce con sin troppa facilità. Mi dispiace miei amati festival, ma Sharif Meghdoud lo avete creato voi, concedendo con troppa facilità un documento che dovrebbe essere un attestato di professionalità. E non c’entra niente l’essere o non essere iscritti a un albo o meno (l’iscrizione al Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani non richiede essere giornalisti professionisti o pubblicisti, tanto per fare un esempio), quanto il poter dimostrare di essere un professionista nel settore, con una rassegna stampa personale valida e dei numeri di lettori che siano un vantaggio per il festival stesso. Non un peso, come quello di doversi giustificare di fronte all’intero mondo del cinema per avere dato accesso alla sala a chi ancora per un bel po’ di tempo dovrebbe fare al massimo lo spettatore.
La mia ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stata nel 2013. Il mio ultimo Festival di Cannes nel 2016. Non amo più frequentarli, perché sono luoghi in cui vado per lavorare, che per me significa non dover fare file di oltre due ore a film, perché Croisette e Lido fanno a gara a chi ha più grosso il libro degli accrediti. Un giornalista, un freelance soprattutto, lavora male e questo va a detrimento del festival in prima istanza.
È il caso quindi che i festival stessi inizino a fare un ragionamento serio in merito e assumersi anche le proprie di responsabilità.
Un ultimo pensiero a Sharif Meghdoud. La sua lettera di scuse era commovente, ma soprattutto illuminante. Ora è proprio chiaro che abbia ancora tanta gavetta da fare.