Se n’è andato anche Ken Russell e il cinema perde un altro pezzo di quella stagione magnifica che sono stati gli anni Settanta, decennio figlio, per fortuna ribelle, del normalizzante ‘68, che come tutte le rivoluzioni o presunte tali ha generato solo una diversa forma di borghesia.
Ken Russell la sua rivoluzione l’ha fatta prima
Frequentando gli ambienti del Free Cinema e costruendo una poetica personale in cui hanno sempre avuto un ruolo
preminente la danza e soprattutto la musica. Liszt, Tchaikovski, Wagner, Strauss: tutti sono stati portati sullo schermo, in forme diverse, da Russell, e gli Who e Rick Wakeman (il tastierista degli Yes, per capirci) sono stati suoi complici in occasioni diverse.
Una carriera controversa
Divisa tra il suo desiderio di stupire e scandalizzare e quello di raccontare storie lontane dalla quotidianità. Arrivato molto presto addirittura alla nomination all’Oscar con Woman in Love, film che diede la statuetta a Glenda Jackson, corteggiato da Hollywood, buttò consapevolmente tutto alle ortiche con I diavoli, tratto da Huxley, con un grande Oliver Reed e una carica sovversiva strabordante.
Ken Russell fu molto bravo a vendere la sua voglia d’essere scandaloso
Viene ricordato universalmente per Tommy, opera rock sontuosa, ma il suo miglior film è certamente Stati di allucinazione, in cui riesce a cogliere l’essenza del testo di Paddy Chayefsky, portando sullo schermo un disagio
esistenziale doloroso e realistico all’interno di un’opera sci-fi. Quello che voleva fare Nolan con Inception, film che deve moltissimo proprio alla coppia Russell-Chayefski.
Era il 1980, il resto della carriera di questo simpatico e colto cineasta non ha riservato molte altre soddisfazioni, da Gothic a Whore, prodotti fatti più per il gusto di far discutere che altro. Ma di registi come lui, con questo desiderio di stupire e con la capacità di prenderti allo stomaco, ce ne sono sempre meno. Film come The Boy Friend, che costruì il mito di Twiggy, o Lisztomania, avevano una libertà espressiva che i giovani cineasti di oggi non hanno, più preoccupati della tecnica e dei movimenti di macchina digitali che del linguaggio.