La commedia è stato il pane quotidiano di Bradley Cooper per lungo tempo e, dopo Una notte da leoni, in molti lo continuano ad associare a quel cinema di pancia che fa morir dal ridere e poco più. I tanti ruoli tra il comico e il romantico lo hanno poi confermato giovanotto rampante, un astro nascente che si è ben ritagliato il suo angoletto nel firmamento hollywoodiano. Ma i più attenti hanno saputo notare il suo talento già da tempo.
Con Silver Linings Playbook, in Italia Il lato positivo, finalmente giungono i riconoscimenti (fra tutti la nomination all’Oscar come Miglior Attore Protagonista) per il biondo di Philadelphia. Lui, con l’estrema cortesia che lo contraddistingue, minimizza dando il merito a David O. Russell, e alla sua scrittura. Fatto sta che le sue scelte si sono rivelate sempre molto coraggiose, e alla fine il coraggio paga. E mentre aspettiamo ciò che, sulla carta, rasenta la perfezione (un film firmato Cameron Crowe che lo vede protagonista insieme a Emma Stone), possiamo goderci la sua interpretazione di Pat, affetto da lieve bipolarismo, appena uscito dalla clinica psichiatrica dove ha scontato la sua pena e folle d’amore, disposto a tutto pur di riconquistare sua moglie. Accanto a lui un cast in stato di grazia, da Jennifer Lawrence alla caratterista Jacki Weaver, e su tutti un redivivo Robert De Niro.
In questo film mi ha colpito il diverso registro che c’è dall’inizio alla fine: ha scene comiche, alcune addirittura grottesche, per poi passare ad altre fortemente drammatiche
Bradley Cooper: Mi fa piacere che si noti, perché è qualcosa su cui abbiamo lavorato moltissimo, sia prima che durante le riprese del film. Ci ha preoccupato per tutto il tempo: avevamo momenti in cui i personaggi erano sull’orlo del disastro, e subito dopo una scena sportiva… Non è stato per niente facile riuscire a piangere, ridere e urlare, a volte con lo stesso respiro preso, e non è stato sempre recitare, a volte cercavo solo di capire queste persone. Ma credo di non essere stato solo fortunato, credo piuttosto di aver lavorato con un grande regista e con un gran bel gruppo di persone, professionisti seri, e che ci siamo supportati a vicenda e stimolati. Mi sono sentito davvero vivo e interpretare questo ruolo per me è stato molto gratificante.
Il film presenta una patologia borderline, ma senza malgiudicarla, anzi facendola passare anche come una sorta di ricchezza.
Bradley Cooper: Ho imparato un’incredibile quantità di cose interpretando Pat, molte di più di quanto mi sarei aspettato quando ho letto lo script o facendo ricerche su cosa voglia dire essere bipolari, anche solo un po’. Facendolo, diventando lui, mi sono accorto che è davvero sorprendente anche paragonarsi a persone così. Mi sono chiesto io come avrei recepito certe informazioni se i miei centri ricettivi e neurologici fossero stati simili ai suoi. Lui a volte deve gestire le sue emozioni, e di conseguenza le sue azioni, deve stare attento e non può fare ciò che gli verrebbe spontaneo, quindi si sente come paralizzato. Posso paragonarmi a lui, posso immaginare come ci si sente? Sì, a dirla tutta posso, eccome. Credo sia capitato a tutti nella vita. Quindi posso capirlo, comprendere come si sente, e diventare lui. Penso che tutti possano relazionarsi a Pat. Molte persone sono venute da noi e ci hanno detto che si sono ritrovati in questo personaggio. Se senti qualcuno urlare per strada e ti dicono che è bipolare, la prima cosa che pensi è “Io non sono così”, ma la verità è che quello che fa Pat lo abbiamo fatto tutti, ci siamo passati tutti, e immedesimarti in lui forse ti farà dare una seconda occhiata a quel tipo da cui prendevi le distanze, perché è umano come te. E dovresti provare un po’ di empatia.
Le scene di ballo con Jennifer Lawrence sono molto realistiche…
Bradley Cooper: Sono realistiche, perché le abbiamo fatte noi! Non c’erano body double o controfigure, eravamo proprio noi due. Era essenziale dare un’impronta fisica a questo personaggio, il difficile è stato capire perché Pat era arrivato fin là e come il suo background lo portava a muoversi. E la prima volta che ho realizzato come doveva muoversi, l’ho visto davanti a me e mi sono quasi commosso. Lui è così vulnerabile che ha bisogno di dare delle prove alla sua amica. E questo mi ha toccato. Come attore, passare attraverso Pat mi ha insegnato davvero molto.
Quando ha letto il copione si è subito reso conto di quale sfida e di che grande opportunità rappresentava un personaggio così, che poi l’ha portata anche alla candidatura all’Oscar?
Bradley Cooper: Ho visto la sfida da subito, più che l’opportunità. Sapevo che avrei dovuto accettare questo ruolo, mi piaceva troppo, mi ha stimolato da subito. Sapevo benissimo che per me sarebbe stato destabilizzante, e poi personalmente amo i Philaldelphia Eagles. Non avrei mai pensato di avere un ruolo come questo e sono molto grado a David O. Russel per avermelo offerto, per aver avuto fiducia in me. Ma penso che un personaggio come Pat meriti l’attenzione che sta avendo. È probabilmente il ruolo più difficile dell’anno in corsa per l’Oscar. È scritto talmente bene che chiunque avrebbe potuto fare un buon lavoro. Personalmente sono contento che il riconoscimento venga dato a Pat, al ruolo, non a me. Pat se lo merita.
Qual è la differenza tra il lavorare in un drama comedy come Il lato positivo e in una commedia pura come Una notte da leoni?
Bradley Cooper: La vera risposta è: non molta. Se reciti realisticamente, quello che ne viene fuori è qualcosa di credibile e realistico. Le circostanze possono comprendere situazioni diverse, e quelle in cui si trova Pat diventano comiche per vari motivi. Per esempio la musica, che contrasta molto con la sua situazione interiore. O per il modo che ha di ballare, il che lo rende vivo e vivido. Quando abbiamo messo la tigre nel bagno in Una notte da leoni, non ci siamo chiesti come rendere comica quella scena, ma cercare di recitare come se stesse accadendo davvero non è necessariamente più semplice. Ne Il lato positivo c’è una discussione tra i protagonisti sulle medicine che stanno prendendo o che hanno provato, e abbiamo reso anche quella divertente.
C’è anche una certa differenza nel modo in cui è diretta questa commedia rispetto ad altre.
Bradley Cooper: È diverso analizzare la cosa come attore o come regista. David O. Russell ha diretto Amori e disastri e credo che fosse davvero una bella commedia. Ma era il suo secondo film, penso che questo contenga molti più giochi, scherzi, e l’essenza della commedia. C’è molta differenza tra lo stile di Una notte da leoni e un film come questo. Per prima cosa il ritmo narrativo, che entra nella testa di Pat. Quando inizia, Il lato positivo, è bipolare anche nel ritmo. Quando poi arriva Tiffany, rallenta, come se si rilassasse, se iniziasse a cambiare insieme al personaggio. E questa è proprio la coscienza del filmmaker nel raccontare, e non c’entra nemmeno tanto con il fare una commedia o un dramma, è semplicemente come David vuole dire certe cose. Non penso che lui si sia chiesto come rendere tutto questo una commedia, suppongo che si sia chiesto come raccontare una storia in modo autentico. The Fighter non era un film sulla boxe, era un film sulla famiglia. Così questo film non è sulla malattia mentale, ma è il racconto di queste persone, che cercano di sopravvivere alla circostanza, alla crisi economica del 2008, vedendo intorno a loro altre persone che hanno perso il lavoro, la casa, che sono morte, e altre sopravvissute, ma fuori dalla società.
Però tornando al tema della pazzia, mi sembra che il film sottolinei più di una volta che non c’è poi tanta differenza tra chi è “normale” e chi non lo è. Anche il padre di Pat, con le sue superstizioni, e poi ha anche il pugno facile…
Bradley Cooper: Sì, che lo ha portato al divieto di entrare allo stadio. E anche il suo amico Ronnie, che dovrebbe essere il più normale tra loro, ha un sacco di manie. Nel libro questo tema era trattato in modo differente. Uno dei messaggi del film è proprio quello di prestare attenzione prima di attaccare delle etichette alla gente. In realtà ci si rende conto che abbiamo bisogno l’uno dell’altro.
È anche un periodo storico in cui è più facile ammettere che abbiamo tutti un po’ di confusione in testa.
Bradley Cooper: Credo che sia così, in effetti. Ed è per questo che il film esce in un buon periodo e trova anche riscontro nelle persone che lo vedono. L’ultimo sforzo per sopravvivere a volte rasenta la follia in tutti noi.
Christoph Waltz ha detto che detesta l’improvvisazione, e ha ammesso di trovarsi bene con Tarantino perché non permette che vengano cambiate nemmeno minimamente le sue battute. Lui sostiene che sarebbe come tradire Checov o Shakespeare.
Bradley Cooper: Non credo che parlasse dell’improvvisazione in genere, penso si riferisse al tradire lo script di Quentin Tarantino. O almeno credo. Quando reciti un testo teatrale, non lo improvvisi, non cambi le battute, reciti il testo con le sue parole esatte. Il cinema, secondo la mia esperienza, è diverso. Credo che David O. Russell sia uno dei migliori sceneggiatori negli States in questo momento e ammette l’improvvisazione. Woody Allen vuole l’improvvisazione, Martin Scorsese la ammette e la incoraggia, Paul Thomas Anderson, che è probabilmente il migliore al momento, la ammette. Dipende davvero dalla tecnica del racconto dello storyteller. Se Quentin Tarantino non vuole che tu lo faccia, allora non lo fai. Ma se lavori con un regista che abbraccia il suo mestiere e il tuo, capita come su questo set che lui persino riscriva delle battute in base alla tua improvvisazione, al tuo apporto. David riscrive continuamente, e poi ti passa il foglio, perché il suo processo creativo non finisce nella sua stanza, ma si perfeziona sul set, ed è così che ottiene dei dialoghi naturali. A Tarantino piacciono dei dialoghi diversi, più oziosi e sofisticati. Non credo che nessuno potrà trovare oziosi i dialoghi ne Il lato positivo.
Il tuo personaggio nel film odia alcuni classici della letteratura americana. Hai anche tu un libro che lanceresti volentieri dalla finestra?
Bradley Cooper: È divertente! No, non ce l’ho. Ma non credo che lui odi davvero quei libri, è che sta passando un periodo in cui vuole davvero vedere il buono che c’è nelle persone, perché è tutto difficile. E allora semplicemente si chiede: perché mai dei ragazzi dovrebbero leggere cose come questa? La vita è già così difficile… non c’è bisogno di leggerlo qui per capire quanto la vita è dura (inizia a farneticare, diventa Pat per un momento, nda), non ho bisogno di leggere questo libro per capire quanto la mia vita faccia schifo! Il grande Gatsby! Povero ragazzo, ma ci rendiamo conto? Gli prendono la casa, gli prendono la ragazza, e poi gli sparano, non basta tutto quello che ha passato? (torna se stesso) È una trovata spiritosa, ma trovo che sia davvero divertente, e poi ha molto senso!
Critica e saggista cinematografica, scrittrice e ufficio stampa, è con Alessandro De Simone la fondatrice di The Cinema Show e ne è il direttore editoriale. Ha pubblicato, tra gli altri, su 35mm.it, Hotdog, Everyeye, IHMagazine, Staynerd e Movieplayer.
È orgogliosamente membro del collettivo Eiga di Bakemono Lab.