Uno sguardo. Pieno di dignità, orgoglio, rivincita, dolore. Diaz, al di là della macelleria mostrata con cruda potenza da Vicari, al di là delle piccole e grandi storie che le girano attorno, è soprattutto quello. Non siamo mai riusciti a raccontarla quella scuola, quel luglio 2001, quella sospensione assurda e selvaggia della nostra democrazia. Mai, per lo meno, con un film di finzione. Un progetto folle: vale per Procacci, che ha preso l’imprevisto successo di Qualunquemente e lo ha trasformato in Diaz (ne conoscete altri che guadagnano sette milioni di euro e li consacrano a un progetto così rischioso?), vale per Vicari, che consegna la sua carriera a questa pellicola. Hanno fatto bene entrambi. Potremmo parlare di quella sceneggiatura che è una mareggiata impetuosa che accarezza i personaggi, tutti comprimari e tutti necessari (Germano, forse, escluso: il suo giornalista è esistito nella verità, ma non è credibile nel film). Potremmo parlare della visione lucida, appassionata, potente della regia e di un Santamaria sorprendente nella parte della guardia ambigua, il ruolo più delicato, uno dei perni su cui si poggia il film, che passa per quegli occhi liquidi e il suo viso allo stesso tempo cinico e sperduto. Potremmo infine parlare del cast internazionale che tanto bene ricrea quell’ambiente cosmopolita e naive che nel capoluogo libero creo per pochi giorni un incantesimo. Prima spezzato e poi mai più ripetuto. Potremmo. Ma Diaz è soprattutto cuore, carne (al sangue), ingiustizia insopportabile. Le lacrime si fanno strada mentre lo guardi, l’idea di inserire il film dopo la morte di Carlo Giuliani – solo citata – fino all’espatrio degli arrestati, ha l’audacia di chi vuole essere onesto e non lasciare verità comode. A nessuno. Vicari si è fatto guidare dagli atti giudiziari nel costruire l’impianto della narrazione e dal suo intimo ideale di libertà, fisica e di pensiero, nel flusso visivo. Ci fa tornare ragazzi in quell’estate, in quelle strade. Ci riporta allo stupore di (ri)scoprirci Cile, di sentirci in pericolo di fronte a uno Stato che trent’anni dopo le stragi diventa più scrupoloso e agli impeti di libertà decide di reagire con scontri corpo a corpo. Peccato che da una parte ci fossero dei ragazzi – i black block sapevamo tutti dov’erano e cosa facevano, ma non furono toccati – e dall’altra forze del disordine ben armate e su di giri. Come ammazzare una generazione in tre giorni. Diaz ci restituisce la dignità della memoria e della verità, Diaz ci riporta a qualcosa che presto potrebbe ripetersi, Diaz è un urlo di libertà. E alla fine senti il sangue in bocca, le costole rotte, la paura e la rabbia addosso. Altro che 3D.
Boris Sollazzo
Titolo originale: Diaz
Regia: Daniele Vicari
Cast: Elio Germano, Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich
Distribuzione: Fandango
Uscita: 13 aprile
Durata: 127’
Voto: 5