Quando guardi la filmografia di un cineasta, ti accorgi che è un autore quando capisci che c’è un filo conduttore che attraversa tutta la sua carriera. Nel caso di Jonathan Demme è la sistematica vivisezione del valore familiare americano, tanto fondante quanto deleterio per le generazioni successive agli anni Sessanta. Da Femmine in gabbia, per la convivenza forzata costrette a reinventare una sorta di malata convenzione familiare, passando per tutti i suoi successivi film degli anni Settanta, in un modo o nell’altro questo tema è centrale. Lo stesso accade nel suo cinema successivo, quello post Qualcosa di travolgente, sorta di spartiacque che ha sdoganato per il grande pubblico il cinema di Demme in Italia (di fatto Melvin and Howard aveva anche regalato un Oscar come migliore attrice non protagonista a Mary Steenburgen). Married to the Mob, Philadelphia, a modo suo anche Il silenzio degli innocenti, in cui il rapporto tra Lecter e la giovane Clarice Sterling è un chiaro rapporto tra padre e figlia, la famiglia è sempre causa di scompensi se non disastri.
In questi ultimi anni, il tema è stato ulteriormente esplicitato, a partire dallo straordinario, e assolutamente incompreso, Beloved, tratto dal magnifico romanzo di Toni Morrison, passando per The Manchurian Candidate, una storia che non poteva non affascinarlo, in cui la famiglia è il Male assoluto per l’erede, fino al dittico intimista di Rachel Getting Married e Dove eravamo rimasti. Dittico, esatto, perché la Ricky di Meryl Streep di questa commedia rock è la Kim di Anne Hathaway del precedente film, cresciuta, sposata, diventata mamma, divorziata e ancora in cerca della pace. Che forse, finalmente, troverà.
Dove eravamo rimasti è film importante nella filmografia di Demme, apparentemente minore solo per la linearità della sua struttura, ma in realtà importantissimo perché chiude idealmente un percorso di riconciliazione, ribadendo che l’unica famiglia buona è quella disfunzionale e possibilmente sgangherata. Sarà la lezione di Corman che ancora non lo abbandona. A dargli una mano a raccontare questa piccola storia, affatto ignobile per fortuna, Meryl Streep, immensa nei panni della rocker fallita a tutti i costi, e sua figlia Mamie Gummer nel ruolo di sua figlia, corto circuito quasi inevitabile e che ci fa ricordare l’adagio “buon sangue non mente”. Il cast maschile composto da Kevin Kline e Rick Springfield, seppur magnifici, è accessorio, perché la famiglia, diciamolo, è una questione tra donne. E la vince quella che sa cantare meglio Springsteen.