Terrence Malick ha sempre riposto grande attenzione nella scelta delle musiche, vista la grande attenzione antropologica che mette nella costruzione delle sue storie e dei suoi personaggi. Toccate le immagini per scoprire le colonne sonore dei suoi capolavori.
Badlands
Carl Orff, George Tipton, James Taylor (theme “Migration”)
(Mai pubblicata)
Il dramma è nell’aria. Sin dalle prime scene di Badlands, la musica si sintonizza sulle frequenze disturbate della mente del protagonista attraverso il suono di un carillon sinistro e un coro di voci bianche. Brani di Carl Orff che sembrano essere nati con lo scopo di narrare gli eventi del film. La follia è rappresentata da Passion, mentre Gassenhauer allenta la tensione con atmosfere leggere che delineano l’innamoramento infantile dei due ragazzi (vent’anni più tardi Tarantino avrebbe chiesto ad Hans Zimmer di basare lo score di Una vita al massimo sul Gassenhauer di Orff per compiere l’omaggio al film di Malick). La musica viene utilizzata anche nella messa in scena per creare momenti ludici e spensierati tra Kit e Holly nella loro fuga dettata dalla rabbia giovane. Love Is Strange li fa muovere in una danza distratta e al contempo tenta di esplicare qualcosa di inspiegabile con il suo andamento pigro e sensuale, mentre A Blossom Fell di Nat King Cole si incarica di far avvicinare la coppia in un romantico ballo notturno, poco prima della fine.
Tirza Bonifazi
Days of Heaven
Ennio Morricone et al.
(Pacific Arts LP, 1979)
I giorni del cielo è il capolavoro che è anche per la sua colonna sonora, che gioca un ruolo tutt’altro che minore nella vicenda di Abby, Bill e Linda. Il lavoro di Ennio Morricone, perla estratta da una delle fasi più controverse di una carriera costellata di sperimentazioni coraggiose e sontuose musiche da Oscar, è mirabile per la capacità di restituire quando non di anticipare il gioco delle emozioni in corso tra i protagonisti. Quanto sono fragili le note di flauto di Happiness, pronte a fuggir via al primo alito di vento, attimi effimeri di vite segnate dal tormento. E quale apertura di orizzonti negli archi di Harvest, che riprendono il tema de Il carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns per trasformarlo in una celebrazione allegorica della vita che non può fare a meno di nascondere un oscuro presagio di malinconia. Prevale di più il (nobile) mestiere nella suspense di The Fire, con qualche richiamo a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Completano la colonna sonora Leo Kottke – il folk bucolico di Enderlin – e lo stesso Saint-Saëns, molto presente nel mix finale del film. A tutt’oggi solo in LP.
Emanuele Sacchi
The Thin Red Line
Hans Zimmer, John Powell
(RCA Victor, 1999)
Dopo vent’anni di assenza e clandestinità Terrence Malick torna sulle scene con un film di guerra in cui il tono è stabilito (anche) dalla trama sonora creata da Hans Zimmer. La musica assume il significato stesso del titolo, diventa quella sottile linea rossa tra la lucidità e la follia nel lento e confuso procedere in terra ostile di un gruppo di soldati americani. E ancora, la musica scandisce la lotta della truppa per la sopravvivenza nell’avvicinarsi – battaglia dopo battaglia – alla morte; fissa la posizione geografica, batte come una bomba a orologeria, pianifica assalti, cristallizza il terrore, implode nell’anima persa dei protagonisti, forma il loro pensiero e poi lo elimina con un rullo di tamburo. Indispensabili in termini di narrazione, le composizioni di Zimmer servono anche a offrire profondità allo scenario: da una parte raccontano l’orrore della guerra, dall’altra contemplano la natura che si erge tutt’intorno ai soldati mettendo in risalto la fulgente e selvaggia bellezza del paesaggio.
Tirza Bonifazi
The New World
James Horner
(Watertower, 2006)
Una scelta inusuale quella di James Horner, per un film peraltro inusuale e controverso nell’ambito del corpus malickiano. Horner, noto per il ricorso spesso melodrammatico al registro epico (Titanic, Deep Impact, Braveheart) poco sembra avere a che fare con il lavoro di sottrazione dell’esteta Malick, che – non a caso – nel mix finale ha usato assai poco della colonna sonora di Horner, prediligendo Wagner (il preludio a I Nibelunghi) e Mozart. Ciò nonostante emerge in The New World l’impegno di Horner a uscire dagli schemi consolidati del suo stile, con l’eccezione di qualche richiamo di troppo alle arie di Titanic (specie Pocahontas and Smith e Forbidden Corn). Ma nell’approccio di Smith alla (quasi) incontaminata Virginia dei primi brani è inevitabile lasciarsi trasportare dal senso della scoperta, con il nuovo mondo che si rivela ai nostri occhi in tutto il suo selvaggio splendore. Qui Horner funziona, facendo ricorso a tutti i suoi artifici retorici per rimestare le emozioni più intime e profonde.
Emanuele Sacchi