La tradizione del noir italiano è molto più radicata di quanto il nostro cinema riesca a ricordare. Da Lucarelli a Carlotto, passando per Pinketts e molti altri, il movimento letterario è tutt’oggi vivo e vitale e con un livello medio molto elevato. Merito anche di una tradizione importante, che porta i nomi di Fruttero & Lucentini e di Giorgio Scerbanenco, a cui è intitolato il più prestigioso premio letterario del genere.
Milano era la città di Scerbanenco ed è anche quella in cui si dipana l’intrigo de La variabile umana. Un costruttore molto in vista negli ambienti altolocati della città viene trovato morto in casa sua, ucciso con due colpi di pistola. Si indaga sulla moglie, per poi scoprire che l’integerrimo imprenditore aveva un debole per le ragazzine. L’ispettore Monaco, forse al suo ultimo caso, indaga, e scopre qualcosa che non vorrebbe.
Dopo molti documentari, gli ultimi dei quali a indagare sulla mafia milanese, Bruno Oliviero tenta la carta del noir per il suo esordio nel lungometraggio di finzione. Lo fa costruendo delle belle atmosfere in una Milano rarefatta e onirica e dando a tre bravi attori come Silvio Orlando, Giuseppe Battiston e Sandra Ceccarelli (finalmente, presto la rivedremo anche nel nuovo film di Gianni Amelio, L’intrepido) la possibilità di cimentarsi in un ruoli atipici per il cinema italiano. Peccato che le buone intenzioni vengano arginate da una sceneggiatura non all’altezza, in cui molti nodi non vengono sciolti nella giusta maniera e gli svelamenti trattati con un’inspiegabile superficialità.
Peccato, perché La Variabile umana è comunque un prodotto che ha voglia di raccontare in maniera diversa, osservando la crisi morale del nostro paese con un occhio diverso, sfiorando temi potenti come la corruzione nella Milano dell’Expo e la prostituzione minorile in un’epoca il cui il denaro può comprare tutto, per disperazione, noia e mancanza di prospettiva.
Un buon tentativo, ampiamente migliorabile, almeno con il coraggio di chi ha voluto osare.
Alessandro De Simone