Contrasti. Quelli tra un luogo che sembra florido, produttivo, economicamente avanzato e i suoi abitanti, persone dai sogni infranti e impossibilitate a immaginarne di nuovi. Quelli tra la generazione che di desideri non ne ha più e quella che vuole andare via, a inseguirne molti, senza neppure sapere quali ma cosciente che, da qualche parte, ce ne siano di migliori.
Piccola patria, il primo lungometraggio di finzione del documentarista Alessandro Rossetto è comunque uno spaccato di vita reale, tanto che per lo più è recitato in dialetto. La campagna del Triveneto da lui descritta è quel microcosmo che finisce sui giornali solo con le statistiche dei voti elettorali. Quella che fa i raduni indipendentisti, che guarda con diffidenza e disprezzo qualunque diversità, quella che però va avanti cedendo il passo ai cinesi, che non continuerebbe a sussistere senza il lavoro degli immigrati. Gente che pensa che solo quello che gli passa per la testa sia la realtà, e mai si confronta. Un terreno ampio e terribilmente soffocante. Fa paura la Pianura Padana, senza i confini naturali visibili a occhio nudo. Un terreno piatto a perdita d’occhio, come piatta è la vita quotidiana, come piatta è la mentalità media. “Non mi rompere i coglioni” è la frase più ricorrente nel film, e chi è stato in Triveneto negli ultimi dieci anni sa quanto questo sia veritiero.
Ma Luisa e Renata vogliono andare lontano, e usano quel che hanno, il sesso, per fuggire. Tutto pur di allontanarsi da quel clima così soffocante da non poter tenersi i vestiti addosso nemmeno sul balcone di casa. Le due bellissime giovani attrici danno di questa inquietudine un’interpretazione vera e sincera. In particolare Maria Roveran, Luisa, dà corpo in musica alle sensazioni che prova, avendo composto e interpretato due intense canzoni per il film.
Non seguono le regole loro, e sono belle. Belle come solo le giovani ribelli e piene di speranze sanno essere. Ribelli senza un’ideale a cui votare la propria ribellione, sensuali senza sforzi, intelligenti tanto, forse troppo, quanto basta per farsi male a vicenda. L’importante è “non diventare come tutti gli altri”, come quelli che hanno paura del diverso che viene a minacciare una monotonia che non paga, non realizza, non dà nulla in cambio alla fine di una vita di sacrifici.