Ossessioni. Da sempre ciò che anima la scrittura di Breat Easton Ellis. Insieme ai soldi, al sesso, e a dei personaggi assolutamente falliti, patetici incapaci a vivere la vita in maniera sana che si incaponiscono per ottenere presunti controlli non si sa bene su cosa o chi, che nonostante i molti soldi sono da compatire. Ecco che lo scrittore dalla fama mondiale, che da Glamorama ripete sempre se stesso a dire il vero, si cimenta con risultati deludenti nella sua prima sceneggiatura originale, senza passare dal libro questa volta.
Prodotto da Lindsay Lohan, che oramai ha poche carte da giocare dopo aver gettato al vento il suo talento e una carriera avviata, The Canyons è una sequela di gratuità e cliché radical chic, una vetrina di noncuranza e di ossessiva gelosia insieme, con degli attori protagonisti monolitici inseriti in ambienti volgarmente lussuosi. Inutile cercare un senso, inutile sperare che arrivi prima o poi uno sprazzo di rispetto per la donna o per la persona in genere: la penna di Ellis è autocompiaciuta ai massimi livelli, foraggiata incessantemente dalle lodi ricevute in passato, ormai avvelenata dall’idolatria mondiale, e irrimediabilmente ripiegata su se stessa e su sé solamente.
Ciò che The Canyons racconta è lo spunto giusto per la Lohan per mostrare una volta di più cosa le ha fatto la vita, quanto distante dalla realtà comune sia sempre stata, poiché il suo piano del reale è sulle Hills, sui piani attici dei ristoranti con vista, sulle terrazze che danno sulle baie.
Dialoghi infantilmente volgari vengono messi in bocca a belle statuine che non tengono mai gli abiti addosso per più di dieci minuti, in questa fiera delle vanità corporee in cui a uscire male è innanzitutto lei, la bella Lindsay, oramai rovinata dalla chirurgia e dal passato recente. La bella ragazzina di Mean Girls, con una verve comica fuori dal comune, è acqua passata.
Un esperimento volto a realizzare un film a basso budget, quasi totalmente messo insieme su Kickstarter, ma ben lontano dalle belle produzioni indipendenti. Somiglia piuttosto a un porno amatoriale girato a casa dell’amico ricco, con le tante scene di sesso sempre più noiose quanto più credono di essere spinte, unico fulcro che non riesce a tenere in piedi ciò che sarebbe dovuto essere un film. Paul Schrader è lontano dai tempi d’oro.