Galleggiare nello spazio. Ruotare su se stessi in assenza di Gravity, appunto. Persi tra le stelle, immersi nel silenzio cosmico. Fare l’astronauta è il sogno di chissà quanti. Ma in uno spazio così grande può capitare di perdersi. Di non tornare mai. Dopo I figli degli uomini, Alfonso Cuarón è tornato alla Mostra di Venezia con un film sontuoso, novanta minuti di ininterrotte emozioni. Lontano dal cinema adrenalinico, anni luce distante dalle pellicole che fanno un uso roboante degli effetti speciali. Qui la sua peculiare personalità investe di delicatezza ciò che normalmente è solo bello da vedere.
Gravity: l’incontestabile bellezza
Erano anni, dai tempi di Avatar, che non si vedeva qualcosa di così autenticamente innovativo, un utilizzo così sicuro delle più moderne tecniche digitali. Cuarón le mette tutte al servizio della storia da raccontare, dei personaggi e delle sensazioni. A partire dalla sequenza iniziale: una dozzina di minuti senza nessun taglio di montaggio, in cui galleggiamo nello spazio insieme a George Clooney e Sandra Bullock, seguita da una lunga soggettiva di lei, e a quel punto ogni spettatore è rapito, completamente immerso in quel profondissimo panorama siderale. Meglio ancora se sta guardando il film in 3D, qui assolutamente narrativo e funzionale alla regia e al racconto.
“Ho una storia pazzesca da raccontarvi”
Come se non bastasse la sua incontestabile bellezza visiva, Gravity è anche un film profondissimo.
Alle tecniche avveniristiche affianca una storia classica, addirittura aristotelica. Unità di tempo, di luogo e di azione per raccontare di come un astronauta e una scienziata aerospaziale vengano improvvisamente colpiti da una pioggia di detriti e restino senza alcun supporto né contatto con la Terra.
È un film pieno di speranza Gravity, che spaventa a morte e insieme dà fiducia.
Nella figura della dottoressa Ryan c’è tutta la forza di una donna sola che non vuole arrendersi. Non ha nessuno ad aspettarla, non ha un posto che chiama casa. La vita con lei è stata crudele, spietatamente dura. Ryan avrebbe tutti i motivi per lasciarsi andare. Chiudere gli occhi e mollare la presa, restare per sempre lì, in quel posto di violenta bellezza, così vicino al Paradiso…
Invece per qualche motivo reagisce e si attacca all’unica cosa che le resta: la vita.
La Vita, e quell’inspiegabile istinto di sopravvivenza, laddove manca anche il respiro, al solo scopo di tornare e ridere perché finalmente possiede la cosa più preziosa al mondo: una storia pazzesca da raccontare.