Guardando alla storia del cinema precedente all’avvento del Messia Tarantino, ci si accorge che spesso si dimenticano autori di immensa grandezza che non vengono ricordati a sufficienza nelle splendide pugnette dei giovani critici social-militanti. A me ne vengono in mente sempre due: Jerry Lewis e Jacques Tati.
Il primo è stato uno dei più grandi comici di sempre, regista straordinario e per molti versi sperimentale. Il secondo, invece, pure. Tati era però una maschera meno dinamica, ma molto analitica, attenta alla realtà che lo circondava, sempre pronto a coglierne quell’elemento con cui mettere alla berlina l’umanitá borghese della Francia ipocritamente salita sul carro dei vincitori dopo la guerra. La comicitá di Tati era fatta di gesti dalla precisione matematica dettati da un ritmo sincopato jazz straordinario, una musica del corpo che di fatto creava l’atmosfera stessa del film. Oltre ciò, c’era una leggerezza narrativa che nascondeva temi enormi della modernità, questioni subite, ma anche messe alla berlina, dall’alter ego Monsieur Hulot.
Tutto questo per dire che se dovessimo trovare un’ispiratore del cinema di Gianni Di Gregorio, questi sarebbe senz’altro Jacques Tati, come ha ampiamente dimostrato con i suoi primi due film, Pranzo di ferragosto e Gianni e le donne. Ma se nel suo esordio e poi nell’opera successiva l’ex aiuto regista di Garrone sorrideva, garbatamente e intelligentemente, su temi più squisitamente italici, come la famiglia e il rapporto con l’universo femminile, in Buoni a nulla l’approccio è diverso.
Gianni e Marco (Mazzocca, bravissimo) sono simboli di un’Italia che non ce la fa più ad essere vessata, costretti a un malessere esistenziale basato sul nulla, quasi con l’impossibilitá di guarire se non diventando la causa stessa del proprio disagio, e di fatto provocando ad altri ciò che hanno subito. Una soluzione che alla lunga non può funzionare.
Leggero e gradevole, Buoni a nulla è il film più complesso di un regista solo apparentemente dedito a un target attempato, ma che in realtà parla a un pubblico molto ampio, anche giovane, a cui spiega soprattutto che prima di essere prepotenti bisogna imparare ad ascoltare il prossimo.
Gustosissimi i cameo di Giovanna Cau e Ugo Gregoretti, valgono da soli tutto il film.