The Imitation Game racconta la storia di Alan Turing, una di quelle che merita di essere raccontata e tramandata. Eroe di guerra della corona britannica, Turing riuscì a decrittare il geniale codice generato dalla macchina Enigma, un sistema di comunicazione che permetteva alla Germania nazista di poter operare in totale segretezza. Scardinare il codice salvò milioni di vite e accelerò la fine del conflitto mondiale.
Tutte cose per cui essere celebrato. Ma non Turing, omosessuale nella molto bigotta e non meno fascista Inghilterra degli anni Cinquanta. Colto in flagrante, fu condannato alla castrazione chimica, le cui conseguenze lo portarono poi al suicidio.
Alan Turing è stato una delle grandi menti del Ventesimo secolo, un rivoluzionario sotto molti punti di vista. Lascia l’amaro in bocca vedere la sua storia trattata in maniera così convenzionale da Morten Tyldum in The Imitation Game. Biopic che osa poco sia nella struttura narrativa che in cabina di regia, il film viene salvato dalle ottime interpretazioni, non una novità per il cinema inglese. Benedict Cumberbatch tratteggia in maniera eccellente la figura di Turing. Attorno a lui troviamo un ottimo Matthew Goode e una sorprendente Keira Knightley, oltre ai navigati Charles Dance e Mark Strong.
Oltre a un compitino ben scritto resta ben poco, lasciando intravedere quanto basta dell’uomo Turing e puntando il dito, senza mai esagerare, contro l’ipocrita classe dirigente britannica dell’epoca. Si poteva fare di più, ma è vero che è difficile trovare la verità in una vita avvolta dal mistero.