Strano cineasta Tarsem Singh. Un passato glorioso tra commercial e videoclip e una carriera cinematografica con più bassi che alti, a partire dal disastroso The Cell, tanto bello da vedere quanto vacuo nella narrazione. Eppure, arrivato al quinto film, Self/less, un prodotto apparentemente alimentare e dalla trama già vista, ci si accorge che questo indiano trapiantato negli Stati Uniti ha molte cose da dire, sebbene ancora confuse.
Il ricco e cinico miliardario di turno Ben Kingsley, solo e con una figlia con lo odia, sta per morire, ma con i suoi soldi può comprarsi un’altra vita, come nei videogiochi. Un corpo nuovo in cui viene trasferito il suo cervello, c’è posto perché è la testa di Ryan Reynolds. Ma quello che credeva un essere sintetico, si rivela invece un uomo con famiglia e ricordi. E il ricco scopre di avere qualcosa che non immaginava: una coscienza.
Tema tutt’altro che originale, ma Tarsem ci mette del suo per renderlo interessante, riuscendo quasi a far dimenticare che Self/less è decisamente troppo lungo per quello che deve raccontare. Ma i dieci minuti di Kingsley sono magnifici, Reynolds sta cercando di dimostrare al mondo che può recitare, anche se questo non servirà a far dimenticare Green Lantern, e soprattutto dietro c’è un’idea più ampia.
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Tarsem semplifica la sua filosofia dell’essere, metafora della reincarnazione e delle conseguenze della vita precedente nella successiva. Era così The Cell, ma anche The Fall, Mirror Mirror. Il cinema di Tarsem è un cinema confuso, ma che sta assumendo una forma attraverso la semplificazione commerciale. Diradate le prime nebbie, si vede la struttura, per cui lo strumento cinematografico assurge a entità divina, capace di rendere immortali e di regolare il kharma, da cui ovviamente nessuno può sfuggire.
Forse un giorno Tarsem riuscirà a rendere tutto ancora più semplice e girerà il film che ha in testa. Per il momento Self/less lo aiuta a meritare fiducia per provarci ancora.