Metà uomo, metà animale. Cresciuto nella giungla eppure desideroso del rispetto che si confà al suo status di Lord. È Greystoke, meglio la cui storia ha attraversato le generazioni e viene qui raccontata ancora una volta The Legend of Tarzan.
David Yates è anche lui entrato nella leggenda. Per aver diretto, bene addomesticato, gli ultimi capitoli della saga di Harry Potter, senza una personalità che potesse calpestare il volere di JK Rowling, come aveva fatto prima di lui Alfonso Cuaron.
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Ed eccolo alle prese con un altro romanzo, larger than life, e con tanti, tantissimi effetti speciali in più. Con un cast che è a dir poco una collana con tante preziose gemme incastonate, The Legend of Tarzan si siede sin dalle prime scene proprio sui grandi nomi e sui grandi effetti, prendendo immediatamente la deriva di quel cinema ipertrofico che, allo scopo di non lasciarsi mai sfuggire l’attenzione dello spettatore, moltiplica i climax visivi ed emotivi. Non è tanto il buon 3D, ma la post produzione a non dare tregua agli occhi di chi guarda, senza però compensare quest’orgia visiva con un feeling narrativo.
Poker d’attori per The Legend of Tarzan
I quattro, eccezionali, personaggi principali, vengono salvati dalle interpretazioni di attori che al giorno d’oggi difficilmente falliscono un ruolo. Eppure siamo saturi di vedere interpreti di questo calibro incasellati ordinatamente dentro dei cliché.
Christoph Walz in particolare ha stupito in un recente passato per il suo sorprendente talento. Talento che non ci sentiamo di confermare, se gli studios continuano a dargli sempre lo stesso ruolo. Anche un attore ha bisogno di sfide.
Nell’Africa da fumetto rappresentata nel film (pulita, ordinata come se un architetto dei giardini avesse disposto gli alberi, nessun insetto a parte delle funzionali formiche) spicca il messaggio ambientalista a cui da sempre Tarzan è legato. Tutto politicamente molto corretto, tutto come dovrebbe essere. Escludendo le emozioni, se non quelle di quale giovanissimo.