Misteriose sono le vie del cinema italiano, industria dove spesso ci si chiede come facciano alcuni sedicenti cineasti ad avere ancora il diritto di avvicinarsi a una macchina da presa, mentre altri devono lottare anni per riuscire a raccontare una storia. Il percorso di Alessandro Aronadio è il secondo, ben sei anni trascorsi tra il suo esordio ottimo esordio Due vite per caso e questo secondo film, Orecchie, nato e cresciuto a Venezia, progetto selezionato da Biennale College che in un anno ha visto la luce ed è arrivato alla 73ma Mostra del Cinema.
Racconto esistenziale narrato con asciuttezza, ritmo, ironia e poesia, la giornata di Lui è una versione dall’alba al tramonto del Fuori orario di scorsesiana memoria, rientrando nel beatlesiano genere, complicato e affascinante, del A Day in a Life. Tra suore, vedove, dottori, mamme e performer, Aronadio racconta con surreale leggerezza la pesantezza del vivere e dell’essere nella società moderna. Un piccolo trattato socio-filosofico, il cui fischio nell’orecchio è quell”insopportabile rumore della vita a cui siamo costantemente costretti e dal quale è sempre più difficile sottrarsi.
Film sorprendente, Orecchie è scritto magnificamente
Girato con l’eleganza che è dovuta al bianco e nero, ha un ritmo perfetto e un cast eccellente, a partire dal protagonista Daniele Parisi che incontra nella sua breve odissea, tra gli altri, Massimo Wertmuller, Rocco Papaleo, Ivan Franek e Pamela Villoresi. E poi c’è Silvia D’Amico, che avrebbe meritato già un David di Donatello per la sua magnifica interpretazione in Non essere cattivo, e già protagonista di Fino a qui tutto bene, secondo film di Roan Johnson che a Venezia 73. ha avuto con Piuma l’onore del concorso.