Sono in molti ormai a pensare che Woody Allen non abbia più nulla da dire. Che i suoi film siano sempre uguali o che, addirittura, abbia perso lo smalto. Lui, quello che da contratto deve produrre, che dopo una vita non è ancora un autore libero come tanti altri. Però poi quelle stesse persone, ogni volta che passa in TV un film come Midnight in Paris e Magic in the Moonlight, lo rivede volentieri, catturato dalla schiera di personaggi deliziosi che li popolano. Ora con questo La ruota delle meraviglie, Allen sfodera una coerenza narrativa e stilistica fuori dal comune, che pure progredisce nel suo autodefinirsi.
Da un lato torna alla sua cara New York, seppure a Coney Island, terreno poco esplorato, dall’altro continua il suo viaggio temporale attraverso i decenni recenti, ovviamente anche dal punto di vista musicale. E forse per la prima volta da quando non è protagonista di quanto scrive e dirige, è una donna a prendere il suo posto.
Kate Winslet, la vera meraviglia
Kate Winslet, ormai decisamente una delle più grandi al mondo, scarmigliata e in sottoveste come Anna Magnani, nevrotica e nostalgica di un tempo che fu solo un’illusione, è Ginny, un personaggio di una contemporaneità spiazzante. Una donna tridimensionale che esce verace dallo schermo, bellezza stanca e provata dal troppo lavoro, con la testa ancora piena di sogni e un presente subìto, fatto di stenti, debiti con la vita e violenze domestiche. Lei che crede alle lusinghe amorose di un uomo più giovane, bisognosa di sentirsi ancora viva e “non finita”, che prende per vere le promesse di lui, frasi di un repertorio che il bello si rigioca con la tipa di turno, una diversa a ogni stagione. Più pericolosa di una donna ferita, c’è una donna i cui sentimenti sono stati irrisi, e Woody sembra saperlo molto bene.
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Brucia l’animo di Ginny, come tutto ciò a cui da fuoco il suo figliolo irrequieto. Brucia di bisogno di attenzioni che non avrà mai. E il fuoco è la chiave di lettura di tutto, quello che accende la fotografia di Vittorio Storaro, qualcosa di nuovo a mai visto con tale prepotenza, che satura i colori di rosso, oro e blu, ricchi, vivi, pieni. Lui e Allen si inventano un linguaggio di luci, ora fredde, ora roventi, che punteggiano i dialoghi tra i personaggi e i malcelati risentimenti.
E tutti gli altri, su La ruota delle meraviglie
Juno Temple è perfetta nei panni attillati della biondina imbambolata, e Justin Timberlake, assente da troppo, si conferma ottimo artista anche negli script di Woody, che pure sembrerebbero così lontani dalla sua sensibilità. Di tutto il cast chi ne esce meno valorizzato è Jim Belushi, forse volontariamente rimasto in secondo piano. Ma poi nella canottiera a coste di quest’uomo bolso e ignorante forse non potremmo figurarci qualcun altro.
Il personaggio assente è proprio la La ruota delle meraviglie, sorta di divinità che veglia sull’isola e ne osserva immobile i destini. Nessuno ci sale, nessuna inquadratura panoramica dal suo “punto di vista”. Perché questa non è la Coney Island dei turisti, di chi va lì a divertirsi. Questo è il backstage di vite misere che sono il vero motore di tutto il carrozzone, alle quali, alla fine, resta poco più di un implacabile mal di testa.