Senza scomodare sfortuna, malocchio o quant’altro, è indubbio che la trilogia batmaniana firmata da Christopher Nolan non ha avuto una vita facile. Tanti incidenti sul set durante le riprese, uno mortale, quello del tecnico degli effetti speciali Conway Wicliffe. a cui fece seguito l’altrettanto tragica fine di Heath Ledger, consegnato poi all’Olimpo delle giovani star maledette. E adesso la strage di Aurora, della quale non hanno alcuna responsabilità regista, produzione e interpreti, ma che accompagnerà purtroppo Il cavaliere oscuro: il ritorno per sempre.
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Un triste destino per un film e, ancor di più, per un personaggio, e dopo sette film in ventitré anni, girati da tre diversi registi e interpretati da quattro diversi attori nei panni di Bruce Wayne, è arrivato il momento di capire se il Batman che abbiamo visto fino a oggi sul grande schermo abbia, in forme mutanti e mutevoli, colto l’essenza e lo spirito dell’eroe di Bob Kane.
BURTON E IL PIPISTRELLO
Era il 1989 quando la Warner Bros decise di puntare sul marchio di Batman, dandolo in mano al giovane di belle speranze Tim Burton, ritenuto sufficientemente stravagante per dare all’eroe di casa DC Comics un’impronta forte, autoriale e anche commerciale. Economicamente parlando, l’operazione fu un successo, con oltre quattrocento milioni di dollari incassati nel mondo, a fronte di un costo produttivo di trentacinque milioni.
Merito di un cast ricco, da Kim Basinger a Michael Keaton, quest’ultimo nei panni di Bruce Wayne, fino al grande Jack Nicholson a cui non sembrava vero poter gigioneggiare nei panni del Joker. Il tutto condito dalla colonna sonora di Prince.
Un Batman molto “camp” è quello che viene fuori, solo apparentemente cupo e con il personaggio principale dalla personalità appena accennata e sopraffatto da quella più esuberante del villain. Anche cinematograficamente parlando, Batman è un film in gran parte sbagliato, soprattutto carente nelle sequenze d’azione, da sempre non colmata lacuna di Burton, dal ritmo discontinuo e con una sceneggiatura poco più che elementare.
C’è comunque ben poco del Cavaliere Oscuro che proprio in quegli anni stava vivendo una rivoluzione culturale, grazie alla creatività di autori che avevano declinato in molte forme la genesi del grande detective.
Passano tre anni e Burton rimescola le carte, costruendo per Batman Returns un immaginario completamente diverso, ispirato dall’espressionismo tedesco, a Lang e Murnau, citando apertamente il Nosferatu di quest’ultimo in un film che soffre ancora di poco dinamismo nelle scene più movimentate, pecca che viene resa molto meno evidente grazie a un copione equilibrato e in cui le nemesi dell’eroe, il Pinguino e Catwoman, sono tratteggiati in maniera eccellente e portati sullo schermo con interpretazioni memorabili da Danny De Vito e Michelle Pfeiffer.
Il Cavaliere Oscuro: il ritorno – La scheda del film
Nonostante di gran lunga superiore rispetto al primo episodio, Batman Returns incassa molto meno e la Warner opta per un cambiamento di rotta. Soprattutto perché era evidente che a Burton dell’eroe importasse relativamente, preferendo di gran lunga i cattivi di turno.
“E’ LA MACCHINA: LE RAGAZZE LA ADORANO”
Il cambio della guardia è tragico. Dal cupo e creativo Burton, il testimone passa a Joel Schumacher, ex scenografo e costumista a Broadway, reduce da un decennio di successi edonisti come Ragazzi perduti, Linea mortale e St. Elmo’s Fire, che decide di cambiare completamente direzione, a partire dall’introduzione del personaggio di Robin nella terza avventura, la prima da lui diretta, Batman Forever, in cui la cappa e il mantello vengono indossate da Val Kilmer. Al suo fianco, nei panni del Ragazzo Meraviglia, Chris O’Donnell.
La bella di turno è invece Nicole Kidman e tutti e tre se la dovranno vedere con l’unica cosa davvero memorabile di questo mediocre impianto cinematografico, privo di qualunque spessore se non per merito di un eccezionale Jim Carrey, Enigmista magnifico, al contrario del grottesco Tommy Lee Jones, Due Facce per caso.
Il cast ricco e l’impianto molto più mainstream permettono al film di andare al botteghino molto meglio rispetto al precedente, dando così a Schumacher l’opportunità di replicare con Batman e Robin, opera di cartone sbagliata da capo a piedi che rischia di mettere la parola fine alla carriera cinematografica di Batman e anche a quella di George Clooney, sostituto di Kilmer nel ruolo del protagonista. Sicuramente non ha aiutato Alicia Silverstone, Batgirl sovrappeso e per giunta bionda, e Arnold Schwarzenegger, già in fase calante e la cui interpretazione di Mr. Freeze è davvero agghiacciante.
IL RITORNO DEL CAVALIERE OSCURO
Essendo proprietaria del franchise, Warner inizia a guardarsi in giro per affidare a un regista di talento una delle sue maggiori fonti di reddito. La scelta ricade su Christopher Nolan, nel 2003 regista con all’attivo tre film dall’indubbio fascino: Following, Memento e Insomnia. Nolan, londinese, è anche un divoratore di fumetti e insieme a David Goyer, già autore della saga cinematografica di Blade, cerca di far ripartire le avventure di Bruce Wayne adattando Year One di Frank Miller, una delle pietre miliari della letteratura batmaniana, con la saga di Ra’s Al Ghul, un personaggio che aveva caratterizzato gli anni Settanta della serie regolare.
A dispetto del successo e delle reazioni entusiaste, Batman Begins è in realtà un film dai molti difetti, che si concentra molto sul personaggio tormentato di Bruce Wayne, cogliendone la lotta interiore senza però mai scalfire realmente la superficie, e svilendo due personaggi che nell’economia narrativa di Batman sono fondamentali, Ra’s e soprattutto Scarecrow, entrambi ridotti a cattivi da operetta.
Buona parte dei problemi del film derivano proprio dall’interazione tra Nolan e Goyer; non a caso The Dark Knight, il successivo, vede l’ingresso in fase di scrittura di Jonathan Nolan, fratello di Chris. La fraterna comunità d’intenti e la possibilità di poter lavorare su un personaggio complesso come Joker permettono alla coppia di Memento di costruire un film narrativamente più pieno, non privo di difetti, ma sicuramente più affascinante rispetto al precedente.
Merito dell’interpretazione di Ledger, strabordante e assoluta, ma anche del buon lavoro di Aaron Eckhart nei panni di Harvey Dent e di tutto il cast di contorno che dà una struttura al film, non al personaggio, che da questo impianto viene ancora una volta tradito, finendo in secondo piano e pagando dazio in questa rivisitazione della saga di The Long Halloween, altro momento fondamentale della letteratura fumettistica.
“STAI DRITTA CON LA SCHIENA, ROBIN”
La battuta con cui si chiude Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller, uno dei più bei romanzi del Ventesimo Secolo, spiega l’importanza sociale e didattica dell’arte stessa del fumetto, inteso come percorso di formazione, e di un compagno di viaggio che, a dispetto delle apparenze, insegna quanto sia importante far funzionare il cervello oltre ai muscoli.
Vediamo se servirà anche a Nolan per riuscire dove fino a oggi tutti hanno fallito, compreso lui, ovvero ammantare Batman di un’aura leggendaria che vada oltre la sua presenza iconica. Impresa non facile, anche questa volta, visto lo spessore, fisico e non solo, di Bane, e il fascino di Catwoman, affidati a interpreti di valore come Tom Hardy e Anne Hathaway.
Ma arrivati a questo punto del percorso, sapendo che dopo Nolan ci sarà una nuova vita per l’eroe di Gotham, sarebbe di fondamentale importanza dare una direzione. Facendo un confronto anche scontato, il reboot di Spider-man è riuscito soprattutto per la costruzione del personaggio, molto più sfaccettato rispetto alla pur ottima trasposizione di Sam Raimi. Bruce Wayne è una persona più complicata di Peter Parker e il segreto sta tutto qui: riuscire a pensarle come tali