Friedkin Uncut è un documentario del critico cinematografico Francesco Zippel sull’opera di William Friedkin, uno dei più importanti cineasti americani degli ultimi cinquant’anni. Da L’esorcista cinematografico al vero esorcista, il profilo di un autore a tutto tondo.
Basta scorrere la sua filmografia per capire l’importanza che ha avuto William Friedkin per il cinema americano, e non solo. Dall’Oscar per Il braccio violento della legge nel 1972, al successivo clamoroso trionfo di critica e box office per L’esorcista, Friedkin è un regista che ha sempre voluto stupire, prima di tutto se stesso. Lo ha fatto spingendosi sempre un passo, e anche più di uno, oltre quello che molti suoi colleghi avrebbero osato. E lo ha fatto sempre per una buona causa, quella di realizzare dei bei film. E come spesso accade, quelli più belli sono stati anche i meno fortunati.
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È proprio questo il sentiero che traccia Francesco Zippel per raccontare l’avventurosa storia di William Friedkin, un vero proprio director’s uncut, in cui il regista si concede senza filtri, con quella spregiudicatezza tipica di chi ha già fatto tutto. Svela aneddoti sui suoi film più famosi, soprattutto conferma la sua totale anarchia, lui che era stato più volte etichettato a destra e a sinistra, a seconda del film, dalla critica americana e soprattutto da quella europea. E viene anche omaggiato, dai suoi colleghi e dai suoi attori.
Fa un bell’effetto vedere Francis Ford Coppola, Walter Hill, Philip Kaufman, Quentin Tarantino, tessere le lodi di un collega con evidente sincera ammirazione. La stessa che pervade le parole di Willem Dafoe e William Petersen, entrambi lanciati da Friedkin in Vivere e morire a Los Angeles, forse il più grande film americano degli anni Ottanta, insieme a Manhunter di Michael Mann.
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Fa un ottimo lavoro Zippel, arriva fino a Killer Joe e al documentario di Friedkin su Padre Amorth, sorta di sublimazione della sua ossessione per l’esorcismo. Soprattutto, decide di dedicare il giusto tempo a un capolavoro incompreso come Il salario della paura e a un film magnifico e praticamente introvabile nella sua versione integrale come Cruising. Se un appunto si può fare, è quello di non avere quasi preso in considerazione i quattro film precedenti a The French Connection, tra cui c’è almeno un titolo fondamentale come Festa per il compleanno del caro amico Harold, che viene citato solo di sfuggita.
Ma è un peccato veniale, è così ben condotta l’intervista con Friedkin, spina dorsale del film, che si perdona senza neanche pensarci. L’unico rammarico, alla fine, è solo quello di non poterlo ascoltare per qualche ora in più.