Nello show business ci sono due leggi fondamentali per calcolare il gradimento di un attore: quante volte ha lavorato con cani o bambini, due elementi che vengono universalmente riconosciuti come la tomba della carriera. Ci sono molti esempi che possono avvalorare questa tesi, ma francamente mi auguro che Matthew Broderick non diventi ‘case history’ in sostituzione di Matthew Modine (sarà il nome?). Quest’ultimo infatti passò da Kubrick a Carlo Carlei, reincarnandosi in un cane in Fluke, mentre in Cani dell’altro mondo il leggendario Ferris Buellers è un amico a quattro zampe in arrivo dalla stella Sirio, in realtà la patria dei cani, creature superiori che in tempi lontani avevano colonizzato la Terra per dominarla e rendere la razza umana schiava.
Dando per scontato che si sarebbe stati tutti molto meglio con al governo un alano, questo film di John Hoffman, attore che debutta alla regia, è naturalmente indirizzato a un pubblico di giovanissimi, i soli che con un po’ di fortuna non noteranno le gravi carenze del prodotto, molto più adatto a un sabato sera televisivo che cinematografico. In italiano, oltretutto, il pubblico più adulto non può neanche godere dei talenti vocali, oltre che del citato Broderick, di attori di grido come Brittany Murphy e Vanessa Redgrave.
Insomma, si dice sempre che a molti cani manca la parola, ma non sarebbe anche il caso di chiedersi perché non ce l’hanno?