Chesil Beach è nel Dorset, a circa duecento chilometri a sud-est di Londra. Più o meno alla stessa distanza, verso est, c’è la spiaggia di Hastings, dove si combattè nel 1066 la battaglia che di fatto diede origine al regno d’Inghilterra. Chissà se ci ha pensato Ian McEwan quando doveva trovare la location perfetta per raccontare il primo giorno di nozze di Edward e Florence, coppia di giovani sposi che dovrebbero affrontare insieme il resto della vita. Dovrebbero.
Chesil Beach è il campo di battaglia della lotta di classe
Chi ha letto lo splendido romanzo di McEwan lo sa già, agli ignari raccontarlo sarebbe una cattiveria. E in fondo, i fatti sono spesso un aspetto secondario. Chesil Beach è uno dei romanzi più potenti dello scrittore britannico perché raramente è stato in grado di raccontare con eguale violenza il contrasto di classe che è alla base della società inglese. Florence, rampolla di una ricca famiglia conservatrice, si innamora del figlio di un professore e di un’artista che ha perso il senno a causa di un incidente. Ovviamente il buon Edward non ha alcuna speranza di essere accettato, ma la relazione prosegue fino a un matrimonio apparentemente inevitabile, nonostante le evidenti insicurezze della giovane. La loro relazione è una meravigliosa metafora della società inglese, una classe dirigente ipocrita e immobile, che lancia il sasso e ritrae la mano, lasciando a intellettuali e proletari i cocci da raccogliere.
McEwan è da sempre un maestro nel descrivere i suoi connazionali, lo aveva fatto in Espiazione, in Cortesie per gli ospiti e in buona parte dei suoi altri splendidi romanzi. Ma Chesil Beach è davvero il suo capolavoro in questo senso, una vero e proprio presagio della Brexit, un divorzio, invece di un matrimonio, che nessuno voleva, ma che bisogna sopportare, perché meglio sbagliare fino in fondo che ammettere l’errore.
Chesil Beach ha due splendidi interpreti
Portare sullo schermo la passione, il turbamento e il dolore di Florence ed Edward non era facile, a dispetto della sceneggiatura dello stesso McEwan. Bravo quindi Dominic Cooke, regista esordiente per il grande schermo, ma con un solido e prestigioso curriculum teatrale alle spalle, a non farsi intimorire. Ottima la messa in scena, che in più di un momento riesce a limare l’idiosincrasia del romanziere per la scrittura cinematografica, stesso problema che ha anche Il verdetto. Soprattutto Cooke rifugge l’estetica televisiva di molto cinema inglese, proprio grazie alla sua esperienza in palcoscenico, passando da perfetti quadri teatrali ad aperture inaspettate tra campagna e città.
Soprattutto, dirige Saoirse Ronan e Billy Howle magnificamente, fa loro vivere i tormenti di due ragazzi interrotti, oppressi da vincoli e convenzioni non loro, fa loro trasmettere un dolore costante e sommesso. Un malessere da compatire per la sua profonda tristezza. Ma da non comprendere, né condividere.