Si è sempre sospettosi nei confronti degli esordi in Italia, un po’ perché la nostra è la patria dei commissari tecnici e dei registi e anche perché nella maggior parte dei casi si va incontro a cocenti delusioni. Non è il caso di “Fame chimica”.
Piccolo film di quartiere con tematiche universali che rilancia il dibattito sulla convivenza con gli immigrati e sulla loro difficile integrazione nel nostro tessuto sociale. Ma il film dei due esordienti Paolo Vari e Antonio Comosso va oltre l’analisi di questo problema, ponendo invece una questione che troppo spesso si è cercato di ignorare, ovvero l’essere prigionieri a casa propria.
Fame chimica è un film sulla libertà
Strutturato come un piccolo Mean Streets all’italiana, in cui le storie dei tre giovani personaggi mettono in risalto lo stato di alienazione di una società che si chiude su se stessa, negando qualunque possibilità di crescita e di fuga a chi desidera cambiare in qualche modo le cose.
Ben girato, supportato da un buon cast giovane e molto curato nell’immagine, Fame chimica è un’opera prima che non passa inosservata, grazie anche a l’ottima scelta musicale operata nella costruzione della colonna sonora, curata da Zulu dei 99 Posse.