Ne La sorgente del fiume corre l’anno 1921. l’Armata Rossa entra ad Odessa, costringendo all’esilio tutte le comunità straniere, tra cui quella greca. I profughi si insediano alla foce del grande fiume che si getta nel Mediterraneo e qui comincia la storia di Heleni e Alexis, due giovani innamorati costretti alla fuga per evitare che la ragazza vada in sposa all’anziano padre di lui. Si rifugiano a Salonicco, nascono due bambini, vivono grazie al talento del giovane nell’arte della fisarmonica. Ma i gravi problemi economici e politici del paese costringeranno la coppia a una separazione…
La sorgente del fiume: beata ignoranza
Spesso ci sarebbe da chiedersi se un po’ di sana ignoranza non possa far bene alle persone. Nel caso di Theo Angelopoulos forse sì. Cineasta tra i più premiati del mondo, il regista greco non è mai stato un campione di modestia, basta ricordare la spocchia con cui ritirò il Gran premio della giuria a Cannes nel 1995 per Lo sguardo di Ulisse, affermando che era convinto gli spettasse il premio maggiore (fu accontentato nel 1998 per L’eternità e un giorno), andato invece a Underground di Emir Kusturica.
La sorgente del fiume, sarà un caso, ha molto a che vedere con il film del regista serbo.
Si parla infatti della follia che porta una nazione ad autodistruggersi e un popolo a dividersi e combattersi, il tutto raccontato attraverso la storia di una coppia, una serie d’identità davvero bizzarre.
Ma Kusturica aveva ricreato una grottesca forma del mondo attraverso un impianto fantastico. Angelopoulos, invece, continua dopo oltre trent’anni ad esplorare l’essenza del piano sequenza, senza i virtuosismi di Welles o Altman, ma con macchina fissa e lentissimi e lunghissimi zoom in cui si perde il senso dell’universo.
Risultando, alla fine della fiera, più irritante che poetico, specchiandosi nell’abbastanza inutile perfezione della messa scena, e a discapito dell’indubbio interesse del racconto.
Un ozioso gioco per intellettuali spocchiosi