Open Water dimostra, se mai ci fosse stato bisogno di una conferma, che sono poche le cose al mondo che fanno più paura delle profondità marine. Come sanno bene tanti registi di vaglia, a partire da Steven Spielberg e James Cameron. Lavorare in acqua, inoltre, necessita una produzione complessa e costosa che, in alcuni casi ha portato a disastri di non indifferenti proporzioni, vedi Waterworld e, soprattutto, Corsari.
Open Water ha nell’agilità il suo punto di forza
Questo grazie all’aiuto delle nuove leggerissime camere digitali, e a una coppia protagonista coraggiosa nell’affrontare in solitaria il giudizio del pubblico. Scommessa riuscita, soprattutto per l’abilità nel trasmettere l’inquietudine dell’abisso abitato da creature affascinanti, solo poche ore prima nell’agognata vacanza, e diventate nemici invincibili.
Open Water è una miscela misuratissima
Non di ossigeno, ma di tensione, attesa, campi lunghissimi emotivamente desolanti e primissimi piani paradossalmente claustrofobici, con tanto di alcuni momenti umoristici di eccellente fattura, aiutati dal tremendo paradosso della situazione.
Open Water è costruito per fare scalpore
Ma con una dose di sincerità cinematografica superiore a predecessori ben inferiori, e tanto celebrati dalle nuove generazioni di spettatori, a cui non farebbe male dare un’occhiata a un filmetto che si chiama I prigionieri dell’Oceano di un tal Alfred Hitchcock.