Addio Borghese piccolo piccolo. L’assunzione al Ministero per cui lottare e morire appartiene ormai alla preistoria. La parola d’ordine è oggi mobilità. L’Unione Europea la vende in confezione di lusso, dedicandole nel 2006 addirittura un anno di celebrazioni. E se gli Stati Uniti nicchiano, c’è però qualcuno pronto a ricordarci (e ricordargli) che l’America non è più la Terra dell’Abbondanza.
Dodici anni fa era passato alla storia per le strampalate vicende di un gruppo di commessi di un drugstore. Oggi torna a fare il punto, raccontandoci in Clerks 2 che fine hanno fatto quei giovani. Il bilancio di Kevin Smith è sconfortante e globalizzato: da una sponda all’altra dell’Occidente ricco, i trentenni sono alla ricerca di sé e di un futuro dai contorni sempre più incerti. Distanti anni luce dalla tranquillizzante borghesia mucciniana, Dante e Randall hanno dieci anni di più. La sociologia spicciola li additava allora come “generazione X”: appellativo in sé allusivo alla transitorietà di un fenomeno, ancora difficile da inquadrare.
Senza quasi accorgercene, quel “fenomeno” si è nel frattempo imposto come “normalità”. Cardine economico e sociale del terzo millennio, contro cui Smith ha voluto levare una voce: “Ci stanno rubando la voglia di vivere, di lottare”, sembra dire il regista con il suo film. Il vitalismo di ieri ha ceduto il passo a una lucidità amara. Il miraggio di cambiare il mondo si è sgonfiato nel ripiegamento in sé stessi. Neanche più avversari e bersagli polemici sembrano chiari.
A trenta come a cinquant’anni la mobilità è in agguato: lo pronosticava più di 15 anni fa Kaurismäki con Ho affittato un killer e ce lo ha da poco magistralmente ricordato Il cacciatore di teste di Costa Gavras. C’è chi poi le teste è chiamato a farle saltare per professione, come il Giorgio Pasotti di Volevo dormirle addosso, o chi ancora fa lavori sporchi e invisibili come i minatori di Workingman’s Death.
Qual è allora la soluzione? Intelligente e umile com’è, Smith non indica una soluzione. Punta invece sull’ironia, per far breccia in un pubblico e un paese sempre più anestetizzato. Perché a chiamare le cose col nome loro, come diceva Wes Craven, la gente fugge e volta la testa dall’altra parte. Ecco quindi al suo horror corrispondere la goliardia di Smith: grimaldello sociale, che affida agli sboccacciati dialoghi dei protagonisti lo specchio di un’epoca. Donne, prospettive, delusioni, speranze: la commedia della vita va questa volta in scena in un fast food. Tra un panino e una rispostaccia al curaro, la coppia Brian O’Halloran e Jeff Anderson mette in scena lo smarrimento come condizione esistenziale. A nulla valgono i party adrenalinici e la conturbante presenza di Rosario Dawson.
I dati parlano chiaro: il 17,6 % dei disoccupati Usa non riesce a trovare un impiego nell’arco di sei mesi e in Europa la situazione è ancora più scoraggiante. Nella moderna Gran Bretagna gli stessi dati si attestano sul 58%, mentre la media italiana è di un umiliante 80,9 %. A poco vale poi il titolo di studio: a fronte di una sensibile incidenza oltreoceano, il vantaggio riconosciuto a una laurea nella ricerca di un impiego è stato stimato in Italia in un misero 1,3%.
I giovani di cui parla Smith sono uno dei “tre terzi” in cui gli economisti hanno fotografato la società americana: quella sfida alla matematica che, quantificabile in un 20% della popolazione, percepisce nel complesso appena il 3,7% delle entrate. Fare i conti in tasca all’America non è il suo scopo, eppure Kevin Smith un’idea l’ha avuta.
Per sottolineare senso e messaggio del suo nuovo film, ha pensato a un “audio commento” con cui accompagnarlo in sala. La parola chiave è tecnologia: a pochi giorni dall’uscita americana del 21 luglio, sarà disponibile sul sito Clerks2.com un Podcast da scaricare e ascoltare in Mp3. Complice la Apple e la sua View Askew, Smith ha così voluto lanciare il suo caustico S.O.S. Con l’unica speranza che non vada in loop come in Lost. E che come in Lost fra sedici anni ci si ritrovi allo stesso punto di oggi.