“Loose, footloose, kick off your Sunday shoes….”. Canta intonata l’ispettrice dell’Immigration all’aeroporto di Los Angeles, mentre registra le impronte digitali degli invitati all’incontro con il regista Craig Brewer e il cast del remake di Footloose. La sua non è un’eccezione. Intorno all’operazione da qualche mese c’è un certo rumore, e nel corso del viaggio altri saggiano il terreno: in America Footloose è (diventato) un cult. E guai a toccarlo.
Quando uscì in Italia, nel 1984, non se ne accorsero in molti. La transizione dal musicarello a Grease s’era compiuta sei anni prima, Fame aveva seminato un’eredità che la TV avrebbe raccolto vent’anni
dopo, e la nostra cultura cine-musicale era inceppata nei riccioli dell’operaia ballerina di Flashdance, indimenticabile icona dell’anno cinematografico 1983. Quanto all’America, Footloose incassò ottanta milioni, dieci volte quel che era costato, ma pareva destinato a non lasciare il segno. Persino le candidature all’Oscar, con due canzoni originali, non diedero i risultati sperati: l’Academy gli preferì La signora in rosso, i dj impazzirono per la title track di Ghostbusters, e solo tre anni dopo ci pensò Dirty Dancing (che l’Oscar invece lo vinse) a siglare l’era del dance-movie.
Footloose il segno lo ha lasciato.
Non solo nella storia del cinema, trasformando il semisconosciuto Kevin Bacon in una star, ma anche nell’immaginario collettivo americano. Ora che il film si appresta a tornare sul grande schermo sono in molti ad aspettarlo al varco. Per questo, nella hall country del Farmer’s Daughter Hotel di L.A., il navigato Brewer accoglie gli ospiti così: “Sono terrorizzato”.
Footloose, un remake da Post 11 settembre
Per la gioia dei fan la storia del nuovo Footloose è rimasta la stessa del 1984: un ragazzo di città si trasferisce in un piccolo paese di provincia dove, dopo un grave incidente che ha coinvolto un gruppo di giovanissimi, sono stati banditi musica e ballo. Una cronaca vera (della vera cittadina di Elmore City), che Brewer ha trasportato ai giorni nostri.
“Molti mi dicevano che non sarebbe stata più credibile. Secondo me invece vale oggi più che mai. L’America è ancora un paese con forti divisioni tra Nord e Sud, e dopo l’11 settembre la nostra è diventata la cultura dell’over-reacting. In Footloose il ballo viene proibito per proteggere i ragazzi, e da quando sono padre ho cominciato a capirlo: l’ansia di perdere il controllo sui figli e di non poterli difendere, la paura che qualcuno possa far loro del male. Qui c’è un paese che difende i ragazzi con misure di protezione esagerate, e così invece di operare per il bene, commette un errore”.
Poche le modifiche sullo script ragionate da Brewer, vigile mastino della fedeltà del film all’originale. Cambia il background del protagonista, qui orfano di madre (“Volevo che fosse ancora più solo, perché la sua moralità spiccasse”), muta il personaggio dello zio (“meno dogmatico e più simile agli uomini del Sud che conosco io, gente attaccata ai legami di sangue”), slitta in avanti la scena dell’incidente in macchina: “Vederlo subito ti dà la misura di quel che sta per succedere, ti aiuta a capire perché si arriverà a tanto”.
E poi, naturalmente, cambia il cast. Che non è un dettaglio, ma un pezzo importante del puzzle. Così tanto che Brewer ha rischiato di giocarcisi la carriera, chiedendo agli Studios quel che nessun produttore vorrebbe mai sentirsi dire.
“Avevano in mente un altro genere di film, un remake alla High School musical, con Zac Efron. Uno di quei film che io non avrei mai visto. Quando vennero da me fui chiaro. Dissi che non volevo star, perché nel vecchio Footloose non ce n’erano. Volevo facce fresche, oneste, gente nuova”.
E le ha ottenute. A partire da Kenny Wormald, ballerino e coreografo, nella parte del protagonista Ren McCormack. Dopo Footloose smetterà di ballare, “Ho ventisette anni e non potrò farlo per sempre”, per puntare a Hollywood: “Cerco di credere in me stesso anche se mi sento un outsider, come nel film”. Sulle sue spalle la responsabilità di replicare alcune delle scene più iconiche di Footloose, come il magnifico assolo di ballo, la “angry dance”, realizzata (come fu per Bacon) senza stunt.
“Il coreografo e il regista hanno cercato di rinnovare quella scena per renderla più naturale. La canzone è diversa. è tutto più rock. è la scena di ballo più impegnativa, ma è stato meraviglioso poter fare in quel grande spazio tutto ciò che volevo”.
Accanto a lui l’esordiente Ziah Colon, nel ruolo che fu di Sarah Jessica Parker, e soprattutto Miles Teller, nella parte dell’amico Willard, che nel 1984 fu portata sullo schermo da Chris Penn e con cui lui stesso esordì in teatro, a sedici anni. Scommessa di Nicole kidman che lo volle in Rabbit Hole, Teller ha già un piede a Hollywood ma fa lo schivo: “Voglio diventare un campione di baseball”, dice, ma nel frattempo s’è già trasferito da un paesino di seimila anime, in Florida, a L.A., dove ha in preparazione altri due film.
“L’unica eccezione l’ho fatta per Julianne Hough – dice Brewer – all’inizio le dissi di no perché volevo un’attrice, non una danzatrice famosa. Il suo ruolo, poi, ha poche scene di ballo ma un’importante scena madre, in cui il suo personaggio deve confrontarsi con il padre. mi chiamò una sera, mi disse di ricredermi: lei era quel personaggio. Era cresciuta in una famiglia conservatrice, era stata privata di tante libertà. Capii che stava prendendo il personaggio da un punto di vista molto emotivo. E così decisi di metterla alla prova. Sono certo che con questo film, avremo scoperto una star destinata a rimanere a lungo sullo schermo”.