Class Action, che passione! Non c’è niente di meglio che mettere insieme qualche centinaio di persone per cercare di incastrare qualche multinazionale cattivona che uccide la gente, magari facendo costruire giocattoli per i propri figli nella Repubblica Popolare Cinese, dove utilizzano materiali cancerosi e standard ben poco sicuri (fermo restando che il governo cinese, nella sua infinita magnanimità, ha rispedito le accuse al mittente, affermando che le direttive e le approvazioni erano arrivate tutte dal colosso del giocattolo in questione).
Ma questo ovviamente è solo uno dei tanti esempi che si possono fare. Gli appassionati lettori dei romanzi di John Grisham conoscono perfettamente i meccanismi di questa complessa operazione legale, che fa spesso le fortune dei piccoli studi che vogliono crescere in fretta. Per poter poi avere come clienti le stesse multinazionali che riescono a battere.
Fatto sta che nel solo 2006, come riporta l’eminente studio legale Seyfarth Shaw, sono state intraprese negli Stati Uniti quattrocentosette azioni collettive, il numero più alto nella storia della giurisprudenza americana, cause che stanno coinvolgendo milioni di persone (basti pensare che la class action contro Wal-Mart, colosso della grande distribuzione, conta da sola un milione e mezzo di querelanti).
George Clooney non poteva ovviamente mancare all’appello, naturalmente in questa branca del legal thriller, viste le sue ben note posizioni radicali, che negli anni Cinquanta gli sarebbero costate la carriera, ma che per fortuna al giorno d’oggi può utilizzare per produrre un cinema di denuncia che male non fa.
Non siamo ovviamente ai livelli della meravigliosa stagione italiana dei Petri, dei Rosi o dei Pontecorvo, ma il progetto del “magnifico” George (che siamo sicuri investa i soldi che guadagna promuovendo i prodotti di due famosi marchi globali proprio in questi film necessari) è certamente meritorio.
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Michael Clayton, avvocato faccendiere con il pelo sullo stomaco, è un bel personaggio, che non resterà probabilmente nella memoria collettiva come il Paul Newman de Il verdetto o il Mickey Rourke de L’uomo della pioggia (è vero, il protagonista era Matt Damon, ma i dieci minuti di Mickey sono da storia del cinema) e, per quanto riguarda il film, la narrazione lenta, le atmosfere rarefatte e alcuni nodi di sceneggiatura non ineccepibili non lo faranno entrare nella storia del cinema. Ma quello che conta è l’importante messaggio che ci trasmette: possiamo ancora vincere noi.
Possiamo mettere in mutande un senatore che vede comunisti ovunque, smascherare i trucchetti della CIA e far mettere in galera le persone senza scrupoli che gestiscono le multinazionali assassine.
La domanda però sorge spontanea: è necessario essere George o Julia o posso farlo anche io?