L’amore può essere un gioco divertentissimo e crudele, una giostra colorata che gira vorticosamente alternando momenti di gioia a capogiri che provocano la nausea. E può essere anche una sfida perversa, nata dal bisogno di due bambini di prendersi beffe di un mondo ostile e feroce attraverso una serie di prove sempre più audaci, finalizzate non solo a mettere alla prova l’astuzia ed il coraggio del proprio partner-rivale, ma soprattutto ad infrangere regole e tabù di una morale asfittica.
Con tali cadenze, l’amore tra Julien e Sophie viaggia lungo l’arco di una vita sui binari paralleli della tenerezza e della crudeltà, trasformandosi in un gioco al massacro che a furia di ostacolare e rinviare l’unione dei due finisce col riaffermare, pur attraverso un’amara ironia, l’antica equivalenza tra eros e tanathos.
Con alle spalle un passato da illustratore, disegnatore di cartoni animati e scrittore di opere teatrali, al suo primo lungometraggio il francese Yann Samuell ci consegna una commedia romantica atipica, un inno a l’amour fou trattato con toni favolistici, in bilico tra poesia e cinismo.
Soprattutto nella prima parte, quando segue le vicende dei bambini e raffigura in maniera colorata e affascinante il loro mondo interiore e i loro sogni, il film coinvolge e sorprende (una su tutte, si veda la scena dell’Eden raffigurato come un diorama gigante); a lungo andare però il gioco si fa noto e a tratti prevedibile, e la storia difetta di credibilità, soprattutto quando l’attenzione si sposta sulle relazioni dei due protagonisti con i personaggi circostanti (padri, mariti, mogli…), i quali risultano eccessivamente (volutamente?) privi di profondità.
Se l’intreccio narrativo tende a mostrare qua e là la corda, i motivi di maggior interesse di Amami se hai coraggio sono rintracciabili nell’impianto visivo proposto dal regista.
Il riferimento più ovvio, visti il dinamismo delle immagini e il tono surreale e gioioso del film, non può che essere Il Favoloso Mondo di Amelie, ma il gioco di richiami cinematografici e citazioni operato da Samuell si spinge più in là, arrivando a toccare atmosfere alla Tim Burton, emulando Trainspotting e Mary Poppins, fino a strizzare l’occhio al Truffaut de I 400 Colpi, con i due protagonisti che sembrano una versione aggiornata –e meno struggente- del personaggio di Antoine Doinel.
Il risultato è un universo figurativo e stilistico indubbiamente suggestivo, che corre però il rischio di apparire talvolta di seconda mano.
Un plauso merita la bravura dei due attori protagonisti, Guillaume Canet e Marion Cotillard (appena vista in Big Fish), ma la menzione speciale spetta ai giovanissimi Thibault Verhaeghe e Joséphine Lebas-Joly che interpretano Julien e Sophie a otto anni, la cui vitalità gioiosa e al contempo malinconica è una delle qualità maggiori del film.