È una curiosa coincidenza vedere nell’anno che ne celebra la fama in tutto il mondo grazie al fasto e alla colorata allegria dei Giochi Olimpici, un film che descrive la città di Atene come un luogo così pieno di tristezza e povertà, un vero e proprio inferno sulla terra, in cui emarginati, ubriaconi e delinquenti si aggirano per le strade come corpi senz’anima.
Il regista Nikos Panayotopoulos fa una scelta estetica ben precisa per descrivere con crudo realismo la sua città: si rifà infatti allo stile documentaristico proprio del cinema neorealista italiano e non, utilizzando un’illuminazione naturale e attori presi dalla strada, dialoghi scarni, un ritmo lento e meditativo. Ma nel finale ribalta completamente l’assunto di partenza con l’inserimento di una sequenza surreale, che ricorda molto il cinema di Emir Kusturica, dimostrando però di non essere in grado di mantenere il pieno controllo della materia trattata. Un peccato, poiché il film poteva benissimo assurgere a manifesto di un certo cinema di impegno sociale così in voga negli stati dell’Europa orientale e porsi come specchio della società greca e delle sue contraddizioni.
L’isolamento psicologico e fisico che contraddistingue tutti i protagonisti del racconto viene descritto con pennellate di colore e un’attenzione ai dettagli non indifferrente. Ma il ritmo eccessivamente dilatato della narrazione e la ripetitività di alcune situazioni invalidano il risultato complessivo, insieme al finale delirante e del tutto staccato dal contesto generale, la cui involontaria comicità stride con la sequenza violenta e drammatica che subito precede.