Diego Maradona. Per chi scrive, in questo caso, è come dire Pablo Picasso. Orson Welles. Buster Keaton. Rudolph Nureyev. Sigmund Freud. Marcel Proust. Wolgang Amadeus Mozart. Potrei continuare. E al tempo stesso, la negazione di tutto questo, quando invece di essere un genio, una divinità a tratti, torna a essere quello che noi tutti siamo. Un essere umano.
Asif Kapadia è interessato a questo lato dell’essere Diego Maradona, indubbiamente quello più difficile da scandagliare, ma anche quello che più facilmente si può sensazionalisticamente manipolare. Ci riesce, come già aveva fatto con Ayrton Senna e Amy Winehouse, ma più che smascherare il lato oscuro di Diego, finisce con lo svelare il suo.
Kapadia è un cineasta intelligente e metodico. Non un documentarista, nonostante lo straordinario lavoro di ricerca abbiano alle spalle i suoi film. Anche in questo caso, oltre cinquecento ore di filmati, più o meno inediti, scovati negli archivi delle tv private napoletane, nelle librerie di chi, almeno una volta, ha potuto dare un morso ideale alla mela caduta dall’albero del giardino dell’Eden. Un lavoro mastodontico, teso però a uno scopo molto meno nobile del sudore profuso.
Diego Maradona e Napoli
Il regista inglese, londinese di Hackney, ha voluto concentrarsi sugli anni partenopei di Diego, dal suo arrivo dal Barcellona fino alla fuga, nella notte, dopo la ratifica della squalifica per doping a seguito dell’assunzione di cocaina. Di calcio si parla poco, anche giustamente, se n’è parlato tanto altrove, lo hanno fatto persone più competenti in materia. Molto si parla di tradimenti, rancori, camorra e cocaina. Ne esce fuori il ritratto doppio di Dr. Jeckill e Mr. Maradona, amorevole figlio, fidanzato, marito e padre, ma anche prigioniero di un lato oscuro necessario per poter convivere con il suo estro calcistico unico al mondo. Un bipolarismo che lo ha distrutto, nell’animo e nel fisico, salvo poi pentimenti vari dopo tanto dolore.
In parole povere, niente di particolarmente originale
Soprattutto niente di nuovo sotto il cielo di Asif Kapadia, bravissimo a raccontare le storie che vuole costruire attorno ai personaggi che sceglie. L’operazione Diego Maradona è, come le due precedenti, quella del film a tema, in cui il repertorio permette alla sceneggiatura già scritta di evolversi come un film di finzione. Maradona è Il cattivo tenente, Johnny Cash, Jim Morrison, una figura maledetta e prigioniera di se stesso. Così come Senna era un martoriato James Dean del volante, con la colpa di essere ricco di famiglia, ed Amy una moderna Mildred Pierce.
Non ama i suoi personaggi, Kapadia, ed è giusto così. Ma sa calarli nei generi classici del cinema. Il melò è il suo favorito, ma non disdegna il thriller, come aveva dimostrato proprio in Amy, gettando non poche ombre sulla morte della cantante di Camden. In Diego Maradona va oltre, ingannando lo spettatore sin dalla sequenza di apertura, un inseguimento che sembra uscito dal miglior poliziottesco italiano degli anni Settanta.
Questo è Diego Maradona.
L’uomo, e anche il film. Un inganno. Dell’uomo lo sappiamo. Del film è evidente. Perché Diego Maradona è tratto da una storia vera. Ma non è vera la storia che ci racconta.