Per aspera sic itur ad astra. Ovvero, attraverso le asperità sino alle stelle, come insegna la locuzione paronomatica latina. Quello che non tutti sanno è che la frase, invertita, si trova sull’Apollo 1, incisa su una piastra commemorativa, e che si dice sia il motto stesso della NASA. Ad Astra per aspera. Solo così assume un senso il titolo di Ad Astra, altrimenti proprio non ci tornava logico come si potesse pensare che lo scopo finale del film fosse raggiungere le stelle.
E anche in questo modo, è abbastanza posticcio un titolo che porta completamente fuori rotta. Perché lo scopo di Brad Pitt astronauta non è raggiungere le stelle, ma se stesso, la pace con i suoi conflitti interiori.
Ad Astra e gli altri: da Gravity a Contact
Sembra proprio che ultimamente non si possa realizzare fantascienza ambientata nello spazio profondo senza parlare di crisi esistenziali. Il magnifico lavoro fatto da Alfonso Cuaron con Gravity ha dato il via a una nuova sorta di sottogenere, che ormai viene percorso e premuto come il cinema italiano spreme la commedia corale. E no, non si ispira a Interstellar, perché quello si ispirava già a Contact, di Robert Zemeckis. E no, non includiamo Arrival perché, come recita il titolo stesso, sono gli alieni che arrivano sulla terra. In Ad Astra non ci sono alieni, c’è un uomo che, nell’universo, va in cerca di se stesso. Brad Pitt è Roy McBride, un astronauta eccezionale, figlio di un altro astronauta eccezionale. Un personaggio scritto con l’accetta che risulta meno credibile di una banconota da due euro e mezzo, giacché poi non manderebbero mai una persona così coinvolta alla ricerca di chi forse è responsabile di devastazioni e cataclismi sulla Terra.
AD ASTRA: GUARDA LE FEATURETTE SCIENTIFICHE
Pur volendo sospendere l’incredulità come se non avessimo un quoziente intellettivo, Ad Astra è un film che troppo sfacciatamente prende in prestito il tema della ricerca nello spazio profondo come la metafora della ricerca in quell’infinito spazio che è l’interiorità di un uomo. Roy va alla ricerca di suo padre, che lo ha abbandonato in nome di una sua ossessione, di una ricerca che non era per la scienza, ma per se stesso. E al quale non importava nulla di sua moglie e suo figlio. Roy va alla disperata ricerca di un padre che non lo ama e non lo vuole, alla disperata ricerca di una manifestazione d’affetto, di un amore elemosinato, ostentando un’indifferenza e una freddezza di sentimenti che è richiesta in questo futuro non troppo distopico in cui tutti andiamo sulla luna a comprarci i gadget a forma di alieno, ma che alla fine è piuttosto malcelata.
Brad Pitt è il cuore di Ad Astra
E tutta la gamma di emozioni e di sensazioni, come già fu per Sandra Bullock, passano sul volto di Brad Pitt. Un attore che ormai non ha più bisogno di riscattarsi per essere il bello del cinema, che solo in questi giorni è in sala con i due titoli di punta, insieme al C’era una volta a… Hollywood tarantiniano, e che regala al film tutta l’intensità di cui ha assoluto bisogno. Non c’è scena senza di lui, non ci sarebbe il film senza di lui. Perché Ad Astra è estremamente lento e ridondante, fa del citazionismo riconoscibile il suo punto di forza, ma non procede scena dopo scena. Le asperità sono quelle che deve affrontare lo spettatore all’ennesima scena uguale alle precedenti. Pur venendo rapito dalla messa in scena degli spazi siderali, dell’interno di astronavi e avamposti spaziali, dal silenzio cosmico e la profondissima quiete, che si fa vuoto incolmabile, dello spazio profondo.
Duella con Tommy Lee Jones nelle scene finali, Brad Pitt, e non ha nulla da invidiare a quel grandissimo. Perché nell’Olimpo ormai ci sta già anche lui.
Cerco mio padre, cerco una donna: Ad Astra
L’immenso Donald Sutherland, la bellissima Ruth Negga… e Liv Tyler. Personaggi collaterali. I primi due evitabilissimi, come pure la scena con i primati, l’ultimo no. Perché oltre alla ricerca di suo padre – del suo consenso, nonostante sia un uomo di scarso valore come genitore, poiché ogni figlio lo cerca e lo cercherà sempre – Roy ha le visioni della donna che lo aspetta a casa, nonostante lui la rigetti e la rifugga. L’ennesimo uomo che deve prima provare tutte le possibili scelte offerte dall’universo per potersi accorgere che quella giusta stava proprio lì vicina, paziente e pronta ad accettare e ad accogliere tutti i mostri che ha nella testa. E siamo ben lieti che il film abbia fatto parlare di sé alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, ma per dilemmi così basilari sarebbe bastato che James Gray ed Ethan Gross mi chiamassero per parlarne davanti a una birra…