Dora e la città perduta, ovvero l’apparentemente innocuo esordio live action su grande schermo di un personaggio amatissimo dai bambini dell’ultimo ventennio. Apparentemente soprattutto per chi pensa che le ragazzine dovrebbero passare il loro tempo a sospirare guardando i poster delle loro popstar preferite. E non, che so, manifestare per salvare il pianeta. Ma per fortuna, c’è Dora che ti dice come fare.
Per chi non la conoscesse, Dora è una piccola esploratrice latino americana, come tutti i buoni cartoni animati per bambini alimentata da una potente base lisergica. Zainetti che parlano, volpi che rubano, una scimmia con gli stivali, ma non paga di tutto questo, Dora si rivolge durante le sue avventure direttamente al suo pubblico , lo coinvolge, spiega loro cose, chiede di ripetere gesti e parole. Un incubo per i genitori, che si ritrovano così ad avere pargoli curiosi che chiedono, fanno domande, magari pensano pure.
Dora ha sette anni, nel film è invece cresciuta, è una teenager che da una foresta pluviale qualsiasi dove è cresciuta, viene spedita dai genitori, anch’essi esploratori, a Los Angeles, per conoscere la giungla della modernità. Ma quando si perderanno le tracce di mamma e papà, durante la loro ricerca della città perduta, sarà compito di Dora mettersi lo zainetto in spalla e andarli a cercare, in compagnia di suo cugino Diego e di due nuovi amici, nel cuore della civiltà precolombiana.
Dora e la città perduta è un prodotto per famiglie
Ma soprattutto è uno dei più riusciti manifesti politici anti Trump realizzati in questi infausti tre anni di presidenza del parruccone demente. Per Dora non ci sono muri né frontiere, i suoi amici sono un pezzo della sua famiglia, un wasp nerd e una ragazza di etnia non precisata. Colori, religioni e qualunque altro fattore potenzialmente discriminatorio non vengono contemplati nel suo mondo. Per la cronaca, l’amica Sammy è interpretata da Madeleine Madden, aborigena australiana, prima adolescente a mandare un messaggio alla nazione a reti unificate per denunciare la condizione del suo popolo e del futuro dei nativi australiani.
Dora è un prototipo di civiltà. Fa della conoscenza il suo cavallo di battaglia e difende valori fondamentali come la famiglia, l’amicizia,la tradizione, l’ambiente. Il cattivo di turno è invece bugiardo, avido, vigliacco e con una pettinatura ridicola. Ogni riferimento è puramente voluto.
Mutuato da I Goonies e Indiana Jones, Dora e la città perduta ha tutti I pregi delle produzioni per bambini Nickelodeon, quelli per intenderci di SpongeBob e i Rugrats, cartoni animati che uniscono l’edutainment a una forte componente sovversiva e politicamente scorretta. Dora non fa eccezione, come dimostra la sequenza in acido che riporta per qualche minuto l’esploratrice nel suo mondo a cartoni animati. Ma è solo un momento, quello che vuole davvero Dora è parlare ai suoi coetanei in carne e ossa, dir loro che un mondo migliore è possibile, basta non commettere gli errori dei grandi.
E lo dice con un sorriso. Che forse è quello che manca a Greta per fregare i suoi attempati e ignoranti haters. Ma il mondo ormai è loro, delle Dora, delle Greta e delle Madeleine.