Scary Stories to Tell in the Dark, ennesima variante sul tema gli adolescenti e la materializzazione delle loro paure. Tratto dalle raccolte omonime di racconti scritti da Alvin Schwartz, il film, diretto da André Øvredal, è per fortuna lontano dalla rassicurante vacuità di Stranger Things e affini.
Uno dei maggiori problemi dell’horror adolescenziale moderno è il suo essere quasi totalmente privo di reali elementi formativi. Le cose accadono, secondo una sequenza e un crescendo ben precisi, e alla fine delle loro disavventure i giovani protagonisti si ritrovano adulti nel corpo di un quattordicenne. Le paure del passaggio vengono esorcizzate sconfiggendo il mostro della realtà parallela, il malvagio clown, l’alieno in cattività, tutte proiezioni di un genitore violento, di bulli da quattro soldi, di una condizione esistenziale che non si vuole accettare.
Niente di nuovo sotto al sole, le fiabe sono per questo spaventosamente dark e violente, una volta scritte da dei tal Grimm, oggi da un King o chi per lui. La normalizzazione sta nella sistematica necessità di riportare queste storie a un momento nostalgia, solitamente per mascherare le molte lacune che le strane cose e derivati hanno.
Negli ultimi anni non sono mancati però esempi assai positivi del genere. Su tutti Summer of ’84, un horror thriller straordinario in cui gli anni Ottanta vengono trattati per quello che sono, ovvero il decennio del terrore della middle class americana, devastata dal Reaganismo, senza alcun rimpianto per un periodo atroce per il paese.
Scary Stories to Tell in the Dark è in tal senso un altro prodotto virtuoso
La inevitabile banda di giovani disadattati vive le sue disavventure nell’arco di una settimana, dal 31 ottobre al 6 novembre 1968. Il giorno in cui Richard Nixon divenne il trentasettesimo presidente americano. Francamente difficile immaginare qualcosa di più mostruoso. E proprio l’identità politica anti-repubblicana dei due film, e il suo instradamento storico e politico tragicamente attuale, sono già un’ottima ragione per concedergli una visione.
Oltre ciò, Øvredal gestisce benissimo la costruzione del racconto principale che unisce le storie scritte con il sangue sul diario della paura. Situazioni ad alto tasso citazionistico, da King a Carpenter, ma trattate con senso narrativo e senza l’irritante gusto compilativo del nerd contemporaneo.
Scary Stories to Tell in the Dark è un bel viaggio
Nelle paure che avevamo da ragazzini. E come sempre in questi casi è un film per un target molto più adulto dei suoi protagonisti. Fortunatamente la mano dell’ingombrante produttore Guillermo Del Toro è meno pesante del solito in sede di scrittura, scampandoci molto della stucchevole retorica di cui è fatto il cinema del Tim Burton messicano.
Altri incubi arriveranno, non è affatto una brutta notizia. Speriamo non la facciano diventare tale.
Importante avvertenza. Zoe Margaret Colletti. Lei è da tenere davvero d’occhio. Altro che Millie Bobby Brown.