Non a cavallo del ventesimo secolo, ma quando desidera Victor, fumettista ben oltre la mezz’età, in crisi creativa permanente, sognatore prigioniero del passato, innamorato di sua moglie, psicanalista che non ricambia e lo tradisce per noia. Finché non ha l’occasione di tornare indietro nel tempo, a La belle époque della sua vita.
Non ci sono DeLorean, armadi o altri sotterfugi narrativi. Nicolas Bedos, regista de La belle époque si affida direttamente al più grande generatori di sogni. Monsieur Cinema. Grazie a una perfetta ricostruzione, specialità del geniale cineasta della Storia Antoine, Victor si ritrova seduto nella brasserie dove quarantacinque anni prima ha incontrato il grande amore della sua vita. Per vivere il giorno più bello della sua vita una volta ancora. E ancora. E ancora.
Per fortuna è difficile raccontare un film come La belle époque.
Anzi, è inutile. Perché è impossibile trasmettere anche solo mezza delle mille emozioni della storia di Victor e Marianne. Un film sull’amore, sin troppo facile da dire, così come sulla memoria, la speranza, soprattutto sul tempo, che passa se lo si vuole far passare. Altrimenti si può fermare, ricordando sempre la parte migliore di sé, quella che ti ha portato a scegliere, sbagliando o meno non importa.
Bedos, regista, scrittore, attore intelligente e provocatorio il giusto, ma anche grande uomo romantico, dello scorrere del tempo e dell’amore che non muore aveva fatto l’universo anche del suo precedente e primo film, Monsieur e Madame Adelman. Di nuovo non si tira indietro, neanche personalmente, pur usando stavolta un eccellente Guillaume Canet, come alter ego Antoine/Christof e tumultuoso compagno della sua star, la meravigliosa Doria Tillier, sua vera partner della vita, di cui si innamora perdutamente, nel film, la sua futura proiezione Daniel Auteuil.
Questo pericoloso quanto miracoloso incantesimo, tra The Truman Show e Amélie, aveva bisogno di attori straordinari e senza tempo. Come Auteil, come Fanny Ardant, meravigliosa in un film che omaggia tanto il suo Francois e che a Truffaut sarebbe piaciuto, per la leggerezza, l’amore per le donne e per il cinema.
Si chiamano feel good movies, ma in questo caso è un concetto riduttivo. Come le storie di Richard Curtis, a cui deve non poco, La belle époque è un film che parla di e a ognuno di noi. Sogni svaniti, passione sopita, ambizioni frustrate, monotonia inevitabile, la vita che passa e va, un giorno dietro l’altro, inesorabile.
Questione di tempo.
Finché non ricordi quello sguardo, quella spalla scoperta.
Quel momento, non è mai passato.
È nella stanza di fianco, dietro quella porta che non apri da tanti anni, e non sai nemmeno perché.