Ford v Ferrari. Come titolo, quello originale, è sicuramente più iconico ed evocativo. Certamente lo è per il mercato americano. Le Mans ’66 – La grande sfida è invece di più semplice approccio per il pubblico italiano, che d’altronde l’ipotesi di mettere a confronto un’automobile uscita da Maranello e una da Detroit, difficilmente riesce a considerarla.
Sbagliando, oltretutto, dato che per anni il mondiale di Formula 1 è stato dominato da automobili con propulsore con marchio Ford, sebbene lavorato nelle officine Cosworth di Northampton, nelle campagne inglesi. Circa quindici anni di successi, fin quando non hanno preso il sopravvento i motori turbocompressi e non sono arrivati i grandi investimenti dei colossi dell’automobile, a partire da Renault, Porsche e Honda. In quegli anni, in cui McLaren, Williams e Brabham si portarono a casa una manciata di campionati del mondo, l’unica scuderia in grado di strappare ben tre titoli piloti, e anche più come costruttori, fu la Ferrari.
La battaglia, senza esclusione di colpi, ma sempre molto leale, tra gli artigiani dell’Emilia Romagna del Drake Enzo Ferrari e la fabbrica che inventò l’automobile, iniziò negli anni Sessanta, per le ragioni che vent’anni dopo portarono la quasi totalità dei marchi mondiali a cimentarsi nelle corse.
Per diventare un brand di successo, affascinante anche nei confronti di chi identificava la Ford solo nelle familiari e in automobili tranquille ad affidabili. In realtà, non è per questo, o almeno non solo per questo, che si investono centinaia di milioni nello sviluppo di automobili da corsa che sono più vicine a navicelle spaziali. Il fine ultimo è proprio lo sviluppo di nuove tecnologie, per rendere le macchine più affidabili e sicure.
Al di là delle licenze poetiche, fu questa la ragione che spinse la Ford a lanciare la sfida alla Ferrari nelle corse di endurance, di cui Le Mans è da sempre la regina. Questo, e anche il reale rifiuto da parte del patron Enzo a vendere l’azienda alla Ford, un affronto che Lee Iacocca non mandò facilmente giù.
C’è tutto questo e molto di più in Le Mans ’66 – La grande sfida
Anche se il film di James Mangold, come quasi tutti i suoi, è un film di uomini e non di macchine. Il perno del racconto è il bel rapporto tra due antieroi che sanno quanto preziosa sia la vita, dato che rischiano di perderla ogni volta che si siedono dietro a un volante. E proprio per questo la vivono con l’intensità e il rispetto che merita. Film di uomini, come Copland, Quel treno per Yuma e soprattutto Logan, tutte opere a loro modo elegiache, e in questo caso il requiem viene suonato per un mondo destinato a cambiare per sempre, in cui i gentleman delle quattro ruote avrebbero lasciato il passo alle esigenze del marketing.
Tutto questo Le Mans ’66 lo spiega benissimo
Così come Mangold è bravissimo a costruire un buddy movie a trecento orari su Matt Damon e Christian Bale, ottimi entrambi nei panni di Carroll Shelby e Ken Miles, con Bale una spanna sopra il collega. Quello che funziona meno è la ricostruzione dell’ambiente motoristico, per un vero appassionato italiano reso come un anglosassone ci vede di solito. Non c’è il mandolino, ma poco ci manca, e se da una parte il Ferrari interpretato da un sempre bravo Remo Girone si salva in corner, difficile salvare come il regista di Dolly’s Restaurant spiega il circus automobilistico.
D’altronde, Mangold stesso ha dichiarato di non esserne un particolare appassionato, e i fratelli Butterworth hanno un punto di vista tipicamente British, ovvero convinti che non esistano piloti e automobili se non provenienti dalle terre inglesi. Tutto questo porta a una spettacolarizzazione eccessiva del muretto dei box, dell’abitacolo e della pista, caratteristica d’altronde che è comune alla maggior parte delle pellicole del genere.
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Le migliori sono le più reali e quindi di minore successo perché tendenzialmente noiose, dall’ossessione di Steve McQueen, guarda caso Le Mans, al meraviglioso documentario di Roman Polanski Weekend of a Champion. Unica eccezione è naturalmente Rush, ma anche in quel caso si tratta di un film di uomini, aiutato da una regia straordinaria.
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Al netto di tutto, Le Mans ’66 – La grande sfida è un film godibile e storicamente accurato, ma non bisogna incorrere nell’equivoco che sia la storia di una corsa automobilistica. Al contrario è un film sull’inesorabile scorrere del tempo e sul progresso che avanza, un’opera crepuscolare, di fatto l’ennesimo western di un regista che non ha dimenticato la lezione dei grandi maestri del cinema classico americano. Per fortuna.