Cena con delitto – Knives Out, ovvero affidati al classico che non sbagli mai. In questo caso un giallo alla Agatha Christie, con tanta ironia, strizzatine d’occhio. Soprattutto, l’evidente desiderio di riportare in voga un genere, da tempo appannaggio della serialità televisiva, che il pubblico non ha mai smesso di amare.
Come Rian Johnson, in tutte le sue sfumature. Tanto che il suo esordio Brick, presentato alla Settimana della critica del 2005, era un curioso ed efficace teen noir di ispirazione chandleriana, con una grande sfida tra Lukas Haas e Joseph Gordon-Levitt. Il protagonista di (500) giorni insieme è poi stato l’alter ego di Bruce Willis nell’altrettanto notevole Looper, hard boiled fantascientifico che avrebbe meritato maggior fortuna. Ma valse comunque a Johnson l’ingaggio nel team Star Wars. Un’avventura che sembrava essersi interrotta, dopo il non proprio esaltante The Last Jedi, e che invece proseguirà per lui con il primo film della quarta trilogia, in data da destinarsi.
Per non perdere l’allenamento, per un regista importante come per un atleta, Johnson si diletta con questo gustoso esperimento vintage, di cui firma anche la sceneggiatura. E che da riempitivo rischia di diventare un lavoro a tempo pieno.
Cena con delitto – Knives Out: la trama
Un celeberrimo scrittore di romanzi gialli viene trovato morto nel suo studio, presumibilmente suicida. La numerosa famiglia, da lui foraggiata, si riunisce per il funerale e, naturalmente, il testamento. Ma un misterioso cliente ha chiesto al famoso investigatore privato Benoit Blanc di indagare sulla misteriosa morte di Harlan Thrombey.
Da qui, intrecci, colpi di scena, flashback, ignominie e bassezze familiari e, alfine, l’agognata risoluzione dell’enigma. Tutto a posto quindi, se si è talmente entusiasti di avere goduto di un così raffinato murder mistery da tralasciare la sballata sequenza temporale dello svelamento, e l’eccessivo accumulo di situazioni, molte superflue, che non giova alla fluidità del racconto.
Cena con delitto – Knives Out è comunque una piacevole visione
Soprattutto grazie ai suoi interpreti. Christopher Plummer è magnifico nel ruolo del capo famiglia e della vittima. Ana De Armas è una simpatica infermiera con una fondamentale idiosincrasia, ma è la famiglia al completo da incorniciare, con menzioni speciali per Jamie Lee Curtis e Michael Shannon. Chris Evans, smesso lo scudo di Captain America, potrebbe avere un bel futuro da faccia da schiaffi.
Su tutti, Daniel Craig, novello Hercule Poirot
Arrivato ormai ai saluti finali nella saga di James Bond, per sua stessa colpa potrebbe finire intrappolato da un nuovo personaggio seriale. Il suo Benoit Blanc è splendido, scritto da Johnson pensando ai più grandi investigatori della letteratura gialla, dal citato belga della signora Christie, ma soprattutto al riflessivo e infallibile Ellery Queen, con un pizzico del Nick Charles creato da Dashiell Hammett e reso cinematograficamente celebre da William Powell nella saga de L’uomo ombra. Craig si cala nel ruolo con naturalezza, spogliandosi delle necessarie rigidità del suo agente con licenza di uccidere e ricordandosi di essere un raffinato interprete che misura ammiccamenti, gesti, sguardi, e soprattutto tempi e sospensioni.
Una bellezza, augurandosi possa essere questa volta una piacevole maledizione per Craig. Se lo meriterebbe, dopo avere dato nuova vita a un’icona che sembrava alla fine della sua gloriosa carriera cinematografica. Si merita di far dimenticare in fretta di essere stato James Bond. E di dimostrare che, come c’è stato uno Sean Connery, ci sarà un Daniel Craig.