Lo ha presentato lui stesso a Roma, insieme al collega e amico Steve Della Casa, che inizialmente avrebbe dovuto firmare il volume, ma poi lo ha “solo” curato. Vincenzo Mollica si espone con il solito entusiasmo che lo contraddistingue, si lascia andare, scherza sulla sua quasi ciecità e il morbo di Parkinson che ormai lo accompagna. Il suo libro, L’Italia agli Oscar – Racconto di un cronista, è un compendio, un omaggio, un dono a tutti noi amanti del cinema.
Pubblicato in doppia lingua da Edizioni Sabinae, è un volume importante, da collezione, che racchiude immagini inedite donate dall’Archivio dell’Academy Awards.
Vincenzo Mollica è un nostro patrimonio, la sua voce fa parte del nostro immaginario collettivo, come dice Steve Della Casa. E subito pensiamo che ha ragione. Prima ancora di ascoltare Vincenzo che si lancia in racconti di aneddoti, di quella volta che Jack Nicholson scese dalla Limo con quattro ragazze, di quell’altra in cui Troisi disse che Al Pacino è basso, di quando Sophia Loren lo salutò frettolosamente per non farsi sfuggire che avrebbe premiato lei Benigni.
Chi scrive lo ammira, da sempre, per la forza e l’entusiasmo che da oltre quarant’anni imprime a ogni suo servizio al TG. Oggi si è rivelato più cinico e malandrino, con qualche calembour e due battute da osteria, il che lo umanizza e ce lo fa apprezzare ancora di più.
Vincenzo Mollica è un cronista e un critico, eppure è lui stesso un personaggio. Lo è diventato parlando sempre e solo degli altri, mai di se stesso, mai autoincensandosi, mai ponendo la sua figura sotto le luci della ribalta – come oggi certa pseudocritica in cerca di fama facile tende a fare.
Cosa sono gli Oscar lo lasciamo dire a lui, copiando fedelmente la dichiarazione ufficiale: “Forse il paragone che rende meglio l’idea della loro importanza è di tipo liturgico. Il premio Oscar, a mio avviso, è l’altare maggiore di quella immensa cattedrale che è il cinema. Tutte le cattedrali, come sappiamo, hanno tante navate, tanti altari minori, ma l’altare maggiore è quello sul quale si svolge la messa più importante, quella cantata, quella delle grandi occasioni. Ed è una messa sempre uguale e sempre lo sarà, nei secoli dei secoli”.
Ladies and Gentlemen, please welcome Vincenzo Mollica.
In sintesi cosa c’è in questo libro?
In questo libro c’è un racconto. Il racconto di un cronista che per tanti anni, più di trenta, ha raccontato emozioni bellissime, vissute in larga parte in prima persona alla Notte degli Oscar di Los Angeles, tanti premi Oscar che ho potuto raccontare, tante nomination italiane. È la dimostrazione che il cinema italiano non è secondo a nessuno nel mondo. Perché è un cinema vitale, una forza che ha sempre rappresentato una guida. Un segno preciso e distintivo per cui si merita tutte le acclamazioni e la vitalità che porta sempre con sé.
C’è un motivo per cui questo libro viene pubblicato proprio adesso, giusto?
Ovviamente perché cade il centenario della nascita di Federico Fellini. È un libro che accompagnerà le mostre su di lui, la filmografia che verrà proiettata in tutto il mondo. Il motivo è sempre quello: è un modo per ricordarsi delle cose belle. Il materiale iconografico di questo libro è stato concesso dall’Academy, arriva direttamente dall’archivio dell’Academy Award. È qualcosa che rende ancora più prezioso il libro, al di là delle mie parole e di quelle del lavoro meraviglioso fatto da Steve Della Casa, è un oggetto davvero bello grazie proprio a queste immagini. Poterle raccogliere è un dono grande, per tutti noi.
Perché avete scelto questa immagine di Anna Magnani per la copertina del volume?
Perché Anna Magnani è la numero uno assoluta. È lei quella che rappresenta il cinema in tutte le sue forme. Anna Magnani è l’Italia ed è stata la prima donna a vincere un Oscar. È qualcosa di straordinario: fu un’impresa quella lì. E ancora adesso, con tutti quelli con cui ho parlato che hanno vinto un Oscar, da Federico Fellini a Sophia Loren, da Roberto Benigni a Giuseppe Tornatore Tornatore, quando si parla di Anna Magnani non ce n’è. C’è sempre e solo un inchino da fare a questa donna, così coraggiosa, così straordinaria, che ha regalato al cinema pagine straordinarie, che sono vita. Non solo in Italia, ma nel mondo.
Tanti anni di lavoro per il cinema, nel cinema, dentro al cinema. Sempre con questo stesso entusiasmo e il garbo che contraddistingue Vincenzo Mollica. Come è possibile mantenersi così?
Fellini, che doveva fare il giornalista e poi ha fatto il regista, mi diceva sempre: “Vincenzo, ricordati sempre che è la curiosità che mi fa svegliare la mattina”. Questa è la regola principale per ogni giornalista. Poi negli anni lui è diventato uno straordinario regista, meraviglioso, un poeta del cinema. Io sono diventato più semplicemente un cronista, impressionista e impressionabile. Che però vive ancora oggi, e lo farò fino all’ultimo respiro, di passione, fatica e curiosità. Amore per il cinema, per la canzone, per il fumetto, la letteratura, la pittura… tutto quello che poi, messo insieme, si può trasformare in una parola sola, che è cinema.
Però una parola sola che forse caratterizza Vincenzo Mollica è “straordinario”. Per me il suo “straordinario” è come “Excelsior” per Stan Lee. Quante volte ha scritto “straordinario” in questo libro.
No, devo dire non tante volte. Il mio pupazzo dice spesso “Capolavoro assoluto”, Fiorello me lo fa dire. Straordinario è vero, è un termine che uso, non sempre, ma spesso. Lo uso volentieri, quando c’è qualcosa di bello. Mi è capitato nella vita – ho avuto la fortuna, questo lo posso dire – di poter usare questa parola diverse volte, e non capita sempre. Sono davvero fortunato ad averlo potuto dire diverse volte.
Lei era a Los Angeles anche per la vittoria di Sorrentino. Quella com’era stata?
Magnifica, bellissima. Anche quella non prevista perché il film è stato molto amato, ma non pensavamo vincesse. Però c’era un amore un’attenzione… quando un film italiano si avvicina a un Oscar, si sente dall’attenzione che il pubblico gli fa crescere intorno. E anche la critica e la stampa in genere. Mi ha fatto piacere che oggi alla presentazione del libro, a un certo punto, sia arrivato Francesco De Gregori. Perché a quell’incontro, che facemmo all’Istituto Italiano di Cultura con Sorrentino, arrivò anche De Gregori per ritirare un premio importante, il premio Los Angeles Italia. E in quell’occasione fece un concerto bellissimo, nella stessa sala in cui sarebbero stati poi consegnati gli Oscar. Sorrentino vinse in maniera non meritata, bensì meritatissima. E poi quella dedica? Strepitosa! “Da Fellini a Maradona”, che gli vuoi dire di più? Era festa, festa grande.