Dopo Venezia 69. probabilmente si parlerà di rinascita del cinema italiano, formula che viene tirata fuori ciclicamente quando ai festival internazionali vengono presentate produzioni nostrane di buon livello che ricevono premi o tanti minuti di applausi, come piace scrivere alla stampa specializzata.
In realtà il cinema italiano non è mai morto, quindi non può rinascere, semmai ogni tanto sta un po’ meglio del solito, se non produttivamente, almeno dal punto di vista creativo. E sarà un caso, ma uno dei centri nevralgici di questa creatività è Napoli, da cui arriva quello che insieme a Procacci è probabilmente il miglior produttore italiano, Nicola Giuliano, uno stuolo di ottimi registi e tante storie da raccontare. Storie difficili e dolorose, come quella de L’intervallo, opera prima di finzione di Leonardo Di Costanzo, documentarista bravissimo che porta sullo schermo una favola nera di grande suggestione.
Due ragazzi, Veronica e Salvatore, entrambi bloccati in un collegio disabitato, lei in attesa di giudizio per uno sgarro che non conosciamo, lui il suo carceriere estemporaneo, costretto quanto lei a vivere questa situazione. Dalla diffidenza iniziale si passa a una complicità fanciullesca, esplorando la loro enorme prigione e immaginando mondi migliori della Napoli della Camorra e degli Scissionisti.
Favola dark costruita con delicatezza e resa con una notevole forma cinematografica, L’intervallo è stata la più piacevole sorpresa italiana della Mostra del cinema di Venezia 2012. Di Costanzo racconta di queste adolescenze rubate con sincero sentimento e trasporto, anche grazie ai due giovani interpreti Francesca Riso e Alessio Gallo, dando una visione diversa di una città che vive una situazione insana e folle da troppo tempo. Ma l’abitudine non deve per forza essere la normalità e ricordarlo attraverso chi ha ancora un futuro è la maniera migliore per trasformare la fiaba in realtà.
Alessandro De Simone