Ancora una volta qui, a Cannes, il Festival dei Festival, il luogo dove tutto il cinema del mondo si incontra. E ancora una volta grandi nomi in concorso, i cartelloni pubblicitari davanti agli alberghi (bellissimo quello dei Simpson, lo ammettiamo), la Croisette che pullula di tanta gente che cammina e che probabilmente non sa neanche dove sta andando. Noi invece ci chiediamo dove sta andando il Festival di Cannes che festeggia il suo sessantesimo anniversario ma per cui il tempo sembra essersi fermato.
Sarà il gusto della tradizione, il desiderio tutto francese di essere sempre i primi e di accaparrarsi i nomi migliori, e il concorso di quest’anno è davvero impressionante in questo senso, ma allo stesso tempo ci chiediamo quanto ancora serva tutto questo al cinema.
Serve un concorso fatto da Kwar-wai, Van Sant, i Coen Bros, Tarantino? Vogliamo dar loro altri premi e dire una volta di più quanto bel cinema hanno fatto? Forse ne abbiamo avuto abbastanza anche noi. Vediamoli i loro film, ma senza metterli in competizione tra loro, non c’è più tutta questa voglia di vedere chi premierà la giuria di turno. Molto meglio allora girare per le stanze dell’immenso mercato del film, alla ricerca di qualche talento dell’ultim’ora o di qualche chicca che non vedremo mai.
Ci sono capitate un paio di cose del genere fino a questo momento e ne siamo felici. Siamo felici di aver visto Stuck, investiti da uno Stuart Gordon in forma come non mai. Abbiamo salutato con gioia e tante risate un’amarissima riflessione del redivivo Allan Moyle sulla tranquilla (!) provincia canadese in Weirdsville.
Restando nello stesso continente, ma spostandoci in Messico, abbiamo scoperto un bel film messicano, Malos Habitos, molto più interessante di un qualunque corto circuito del caso partorito da Inarritu, e vi sapremo dire dell’esordio alla regia di Gael Garcia Bernal.
Ci interessa poco invece raccontarvi della crostata di Kwar-Wai e del serial killer di David Fincher, mentre daremo spazio a Kevin Costner nei panni del tranquillo assassino della porta accanto, e nei prossimi giorni continueremo a cercare qualcosa che ci faccia emozionare come da tempo non ci capita a un festival.
Anzi no, al Far East di Udine abbiamo pianto per la tragicamente meravigliosa vita di Matsuko. E un po’ anche per la brutta piega che sta prendendo il cinema asiatico, d’accordo con l’editoriale di Film Tv di un paio di settimane fa scritto da Pier Maria Bocchi. Che qui sta scegliendo i film per il prossimo Torino Film Festival, primo dell’era Moretti.
Lo stesso Moretti che nei suoi tre minuti di omaggio al Sessantesimo afferma: “Se Warren Beatty e Julie Christie non si fossero rimessi insieme alla fine de Il paradiso può attendere avrei occupato il cinema.”
Anche noi abbiamo voglia di occupare i cinema. Di nuovo.