Faccio una premessa. Vivendo all’estero, non ho avuto modo di seguire la serata in diretta, ma colleghi presenti in sala stampa e ovviamente sui social (perché in fondo il vero mondo oggi è quello, tristemente), mi hanno detto che si è trattata di una ventata d’aria nuova. Bene, sono contento. Quello che non mi è parso affatto nuovo è stato il criterio di assegnazione dei premi. Onore al merito a Lo chiamavano Jeeg Robot, non sia mai, ottimo prodotto, ma obiettivamente i votanti sono stati a dir poco generosi con i premi. E lo stesso forse si può dire del premio come miglior film dell’anno a Perfetti sconosciuti, altro prodotto degno di nota, che se nel suo complesso merita senz’altro il riconoscimento, in senso assoluto ha dei punti in meno rispetto ad almeno un paio degli altri film candidati.
Insomma, facendo le pulci e parlando fuori dai denti, Il racconto dei racconti potrà non essere un film perfetto, ma è un’operazione produttiva straordinaria per l’Italia e un film ben più complesso dell’ottima commedia molto cattiva di Paolo Genovese. Meritatissimo per quest’ultimo e per i suoi co-autori il David per la sceneggiatura, dato che di script così “all’americana” (che non è un insulto) in Italia se ne vedono pochi. Lo stesso dicasi per Matteo Garrone, che si è portato a casa i premi che doveva, salvo forse uno di cui parleremo più avanti. Grande sconfitto è stato Non essere cattivo, e qui arriva il paradosso, quello di vedere un eroe del popolo che annichilisce la sua gente.
Già, perché Lo chiamavano Jeeg Robot la sua storia di rivincita della periferia degradata la racconta solo al cinema, così come quella del piccolo film che nessuno voleva è vera fino a un certo punto. Si potrebbe partire, per raccontarla questa storia, proprio dal David come miglior produttore a Gabriele Mainetti, che è vero, i soldi ce li ha messi di suo. Può farlo, perché per chi non lo sapesse Gabriele viene da una famiglia importante e molto ricca, e non è un delitto, affatto. E se da una parte è vero che un produttore cinematografico i soldi li deve rischiare, è altrettanto realistico che saper trovare fondi che non si hanno è un talento straordinario. E forse per questo vedere il David in mano a Simone Isola, che con Valerio Mastandrea e Pietro Valsecchi si è caricato sulle spalle, novello Enea, Claudio Caligari e il suo testamento cinematografico, sarebbe stato più giusto.
Anche perché, cosa che non molti sanno e che poco si è detta in giro, il film molto deve al lungo lavoro di post produzione di Chromatica, sconfitta nella corsa al premio per gli effetti speciali dalla Makinarium de Il racconto dei racconti. Sarebbe stato un bel gesto da parte del produttore vincente Mainetti ricordare loro, più che la Regione Lazio che ancora deve adempiere ai doveri.
Quattro premi su quattro agli attori. Sorvolo sulla giovane ex concorrente del Grande Fratello, e non per snobismo, ma semplicemente perché è talmente evidente l’insensatezza del riconoscimento che è inutile spendervi parole. E lo stesso dicasi per Luca Marinelli come non protagonista: questo dovrebbe stare in un teatro londinese con il tutto esaurito fino al 2023, un David è il minimo sindacale. Claudio Santamaria bravissimo, in una cinquina di ferro in cui avrebbero meritato tutti, su tutti Alessandro Borghi, ma ci può stare. Mistero anche il premio ad Antonia Truppo, bravissima anche lei, per carità, ma diciamo che ricorda l’Oscar a Judi Dench per gli otto minuti di Shakespeare in Love. Con le debite proporzioni. E anche qui, la Elisabetta Di Vito di Non essere cattivo e la Sonia Bergamasco di Quo Vado! possono avere da recriminare.
Insomma, alla fine della fiera, Jeeg Robot sembra l’eroe del democristiano bisogno di far finta che tutto sia cambiato, perché tutto rimanga com’è. Ed è un peccato, anche perché si sono ignorati titoli che hanno partecipato, quando non vinto, a festival internazionali di livello assoluto (Louisiana a Cannes, Fuocoammare vincitore a Berlino), o che hanno fatto la storia del box office nostrano. E l’assenza di Luca Medici nella serata di ieri non può passare inosservata.
Quindi, dicevo, peccato. Per Hiroshi Shiba, prima di tutto. E per tutti gli altri a seguire. Speriamo che questa rinascita del cinema italiano non sia davvero Veloce come il vento.