Andare in cerca di storie da raccontare aiuta a rimanere giovani. È per questo che Ken Loach ha ancora la vitalità di un ragazzino, a dispetto della sua decisione di ritirarsi dalla scena cinematografica per godersi, almeno in vecchiaia, un po’ di meritato riposo. A dire il vero, il vecchio Ken non è ancora convintissimo della scelta e mentre ci pensa su, godiamoci questa sua ultima fatica, Jimmy’s Hall, vera storia di Jimmy Gralton, attivista comunista nell’Irlanda oltranzista cattolica degli anni Trenta.
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Jimmy, tornati dopo dieci anni dagli Stati Uniti, dove era stato costretto a fuggire per non essere arrestato per le sue idee, torna nel suo paesino natio, dove riapre il circolo culturale che era stato motivo del contendere e causa della sua partenza. Osteggiato dalla chiesa e dal governo, Jimmy porterà comunque avanti fino in fondo la sua battaglia.
Come diceva Alan Parker in The Commitments, gli irlandesi sono il popolo più nero d’Europa. In realtà, sono probabilmente ciò che maggiormente assomiglia ai napoletani, quelli veri: industriosi, determinati, mai domi, sempre con il desiderio di migliorarsi e spettacolari quando si tratta di potersi divertire.
Loach riesce a trasmettere quest’entusiasmo e quest’unione per buona parte di Jimmy’s Hall, costruendo un curioso Footloose marxista che appassiona ed emoziona, concedendosi addirittura una fugace deriva melò.
Ma quello che funziona meglio nella sceneggiatura del fido Paul Laverty sono i dialoghi, da cui esce fuori la rabbia dei sopraffatti e degli sconfitti per generazioni, schiacciati da un’ordine costituito che li vuole sottomessi e muti.
Jimmy’s Hall è un Loach minore, cinematograficamente parlando, ma quello che importa nel cinema di questo straordinario e prolifico cineasta è prima di tutto il messaggio che trasmette e che oltretutto conosciamo perfettamente: l’unione fa la forza.