Sono passati quarant’anni da quando la cinematografia australiana iniziò a imporsi in giro per il mondo grazie ai suoi straordinari e folli cineasti. Peter Weir fu il più acclamato, da Le macchine che distrussero Parigi a Picnic a Hanging Rock, passando per il bellissimo L’ultima onda. Ma insieme a lui ce n’erano altri, molti, quasi tutti poi adottati da Hollywood, spesso poi tornati in patria in cerca di quella libertà creativa che l’America gli ha un po’ tolto e un po’ fatta dimenticare.
Philip Noyce, Roger Donaldson, Geoff Murphy, e poi George Miller, che con Interceptor creò un personaggio entrato nella storia del cinema, Mad Max, un divo, Mel Gibson, e un genere, uno strano incrocio tra lo steampunk, il western, il post atomico e il dramma intimista. Qualcosa di unico nel panorama cinematografico internazionale, soprattutto per la sua follia produttiva, quasi una sfida proletaria nei confronti del capitalismo a stelle e strisce, vinta alla fine dai furbi americani assimilatori, colpevoli di aver normalizzato il cavaliere del deserto australiano nel terzo film della saga. Una cosa che a Miller non deve mai essere andata giù, e dopo qualche successo sicuro, un maiale e un pinguino, ha pensato fosse arrivato il momento di tornare a casa.
Mad Max: Fury Road è in fondo questo.
Un lungo viaggio, verso una casa da tempo perduta e finalmente ritrovata. Un luogo sicuro fatto di idee e libertà artistica, un mondo diverso, lontano, misterioso, in cui gli uomini e le donne fanno la differenza, non le macchine, semplici destrieri post-moderni di questi cowboy degli antipodi.
Mad Max: Fury Road è un trattato filosofico, tra Erasmo da Rotterdam e Sam Peckinpah. Film straordinario, che riprende il discorso ben prima di dove era stato lasciato, un elogio della bellezza della follia umana, quella che spinge ad andare avanti, sempre, in cerca di qualcosa che forse non esiste.
Max è un eroe errante, romantico, martoriato, un morto dentro che ruba la vita dalle persone che incontra e che aiuta. Tra queste c’è lo stesso Miller, finalmente alle prese con i temi che più ha amato e con la macchina cinema che predilige, fatta di evoluzioni in camera che sfidano le leggi della gravità e del buon senso.
Mad Max: Fury Road è un’opera monumentale e sovversiva
Il ritorno di un cinema libero e selvaggio, lontano dall’omologazione a cui il politicamente corretto e il necessariamente vendibile ci ha abituati. Si dovrebbe sperare di vederne di più di film così, ma per fortuna siamo tutti folli in tanti modi diversi.
Ed è l’ultima speranza che abbiamo.