In principio fu “Danzi mai con il diavolo nel pallido plenilunio?”. Forse troppo difficile per il grande pubblico, ma identificativo di un Joker cinematografico che mai potremmo dimenticare. Quel Jack Nicholson che aveva infinite cose da fare in così poco tempo, che era il primo artista dell’omicidio, sopra le righe, elegante e raffinato. Con Heat Ledger diventò “Why so serius?” e l’acceleratore sul grottesco lo premette un altro attore indimenticabile, che deve buona parte della memoria che il mondo conserva a quel ruolo. Che ha fatto la fortuna del film di Nolan, completamente incentrato sul suo Joker, che è il male per il male.
Oggi diventa “Put on a happy face” il motto che tutti dovremmo stampare dietro il nostro sorriso. Un nuovo Joker è arrivato in città, e non ha nulla da invidiare agli altri due. E non ha nulla da temere rispetto a tutto e al contrario di tutto ciò che viene detto sul suo conto.
Un archetipo senza tempo
La figura del Matto si perde nei meandri del tempo. È l’arcano numero 0 nei Tarocchi, la carta che è in grado di cambiare tutto durante la divinazione, la figura che può sostituirsi a qualunque altra, potenziando la mano con la sorpresa se si usa il mazzo per giocare. Nella lettura simboleggia l’inaspettato, la conseguenza irrazionale agli accadimenti, l’ondivago viandante, ciò che da un momento all’altro può rivoluzionare tutto. Ed è raffigurato come un giullare.
Il Jolly del mazzo francese viene direttamente da lui, e in Italia diventa il Matto. O la Matta, non importa. Ovunque tu lo metti, cambia letteralmente il gioco in tavola. Se in meglio o in peggio… be’, dipende dai giocatori. Le Fou, the Fool, il Folle.
Una figura antichissima, alla quale si sono ispirati, attraverso i secoli, romanzieri e persino saggisti, autori di storie sotto qualunque forma, scritta, musicata, dalla canzone all’Opera, la poesia, la pittura, la scultura e finanche il fumetto. È nato prima il Fool o il Joker? Chi si è ispirato a cosa e chi tradisce chi? Forse è un’altra la domanda che dovremmo farci.
Forse dovremmo capire che anche il fumetto, da forma d’arte qual è, ha generato archetipi. Personaggi che, come nel miglior Pirandello, a un certo punto vivono di vita propria e si staccano dai loro stessi autori. Se ne vanno in giro ondivaghi, viandanti, fino a ispirare in nuove menti le loro nuove origini, a seminare nuove storie, per la gioia di tutti.
Il personale omaggio di Phillips a Scorsese: enter the Joker
Ed ecco il nuovo Joker. Il villain più amato ormai da lunghissimo tempo. Colorato e sorridente, contrapposto al nero e serioso Batman. Un uomo imprevedibile, un uomo che è tutti gli uomini, che è stato Jack Napier e che oggi è Arthur Fleck. di professione pagliaccio. Un Joaquin Phoenix che potremmo facilmente definire in stato di grazia, ma gli faremmo un torto. Perché la sua è un’interpretazione sofferta, sentita in ogni fibra, del corpo e dell’anima, e la grazia non arriva certo dall’alto, per fare un semplice gioco di parole.
Il suo Arthur Fleck è un uomo che nella vita ha solo subito. Malato mentale, ha dei raptus di risate isteriche che non corrispondono ai suoi stati d’animo, una madre malata e povera, colleghi che si approfittano di lui e un sogno nel cassetto. Fare il comico, il One Man su un palco. Sul palco del Murray Franklin Show, il suo idolo.
Joker: poster e trailer ufficiali
Todd Phillips firma il suo personalissimo omaggio a Martin Scorsese, riadattando il soggetto del suo film della vita alle vicende del suo villain della vita. Re per una notte si condisce della progressiva frustrazione di Taxi Driver e infine incontra il Joker. Per poi proseguire verso un discorso più ampio e universale, di lotta sociale, di cane che mangia cane, di esplosione verso il caos, l’anarchia, il rovesciamento degli oppressori. Non è un caso che sia proprio Robert De Niro a intrepretare Murray: lui fu la controparte Pupkin in Re per una notte, lui fu prima ancora Travis in Taxi Driver. E Scorsese è presente in ogni singolo taglio di inquadratura, in ogni crescendo emotivo della trama di Joker, in ogni singola scelta stilistica di un regista e un attore che hanno lavorato di concerto per riscrivere non le origini di un personaggio dei fumetti, ma un mito fondante. Quello del Matto. Quello del popolo in catene che in lui si identifica, come nella Commedia dell’Arte era solo il Giullare che poteva dire la verità e ribaltare tutto, ma parlava per conto di ognuno, di nessuno, di centomila.
E non è la rivoluzione dei cinecomics: una rivoluzione presupporrebbe che altri siano in grado di trattar ei personaggi dei fumetti in questo modo. Ma Phillips è un regista con i fiocchi, e se siete fra quelli che lo ricordano per Una notte da leoni… be’, allora guardate più attentamente come era scritto e girato quel film.
Nessun fumetto, il signor fumetto di Joker
Non possiamo certo rivelarvi il finale o dei passaggi chiave dello sviluppo di questa complessa psicologia che è il personaggio di Joker. Basti pensare però che chi, come chi scrive, è cresciuto a pane e Batman Comics, riconoscerà senza ombra di dubbio la nemesi del cavaliere oscuro. L’uno senza l’altro non esistono e non si saprà mai chi ha generato chi. Nemmeno questa volta. Nella commedia degli equivoci, uno sbaglio può essere l’illuminazione, in entrambi i sensi di marcia.
Non tanto il Joker della serie regolare, quanto quello di Alan Moore. Quello di quel capolavoro assoluto e indiscutibile della Nona Arte che è The Killing Joke. Quello per cui “Mi viene in mente una barzelletta, ma non la capiresti”. Quello che ha solo avuto una brutta giornata. Quello che, come cantano gli Smiths, “Vedi, la fortuna che ho avuto io può trasformare un uomo buono in cattivo”.
Violenze. Fisiche, verbali, e molte molte altre. Abusi subiti e perpetrati, perché il male si riproduce da sé. E poi si mette un bell’abito, tutto colorato, assume tinte senza tempo, vintage e moderne al contempo, si stampa in faccia un sorriso e balla sulle disgrazie del mondo. Balla su una colonna sonora magniloquente, con dei classici di Frank Sinatra, Jimmy Durante, Nina Simone e Dinah Washington. Ma anche degli Artic Monkeys e dei Cream, solo per citarne alcuni.
Sull’interpretazione di Joaquin Phoenix dovremmo scrivere una recensione a parte.
Questo attore che già metteva in ombra Russel Crowe ne Il Gladiatore, che è passato attraverso ruoli anche minori, come quello in Jackie, dando sempre un’interpretazione sorprendente fosse anche solo in un minimo particolare, fa qui un lavoro su se stesso che sembra non scindersi dal personaggio.
I suoi occhi, la sua postura… la sua voce. Non sappiamo che lavoro farà il doppiaggio, ma la risata di Phoenix è perfetta, è sofferta. Sembra che provochi dolore fisico al suo attore ogni volta che fuoriesce, come una piccola detonazione che mette tutti in crisi, che spaventa, che genera imbarazzo e disagio. Perché c’è da averne, in questo mondo.
E se avete tanta paura che qualcuno empatizzi troppo, se come uno sciocco branco di americani pensate che un film possa fomentare delle rivolte urbane, la soluzione è semplicissima. Siate gentili.