I grandi autori americani nati artisticamente negli anni Settanta stanno invecchiando. Paradossalmente bisogna aggiungere per fortuna, perché andando avanti con l’età hanno sempre più la libertà, che solo gli anni concedono, di fare e dire quello che vogliono. È una situazione naturale, d’altronde, l’importante è mantenere la giusta lucidità, senza guardarsi indietro con malinconia, ma al contrario osservando il presente e il futuro con sovversivo realismo. Non è mai stato questo un problema per Steven Spielberg, che già da molti anni ha gettato la maschera, ritirando fuori l’ardore politico giovanile. E quando si è trovato per le mani una storia come quella raccontata da Ernest Cline nel suo romanzo Ready Player One, non si è fatto pregare per declinarla a modo suo.
Le gesta di Wade/Parzifal nell’universo virtuale dell’Oasis, seconda vita in cui tutto il mondo cerca di trovare ciò che la società del futuro nega, è una metafora ideale dei tempi che viviamo. Un network globale, libero ma minacciato da una multinazionale senza scrupoli, che un cavaliere senza macchia e con le giuste paure cerca di salvare. Un’epica classica, immersa nella cultura pop degli anni Ottanta, decennio seminale per generazioni diverse, culturalmente e anagraficamente. Un turbinio di suggestioni, citazioni, emozioni cinematograficamente impossibile da non amare. Ma tutto questo, per quanto magnifico, è solo la superficie. Basta scavare un po’ per trovare la vera essenza.
Spielberg sale sulla DeLorean e torna più indietro, ai suoi inizi
Ready Player One riparte da dove si era fermata la corsa senza speranza di Sugarland Express, film che di fatto chiude un periodo di cinema politico americano straordinario. Wade e i suoi amici sono i nuovi rivoluzionari, a cui nessuno ha insegnato come esserlo, ma che sanno di doverlo fare. Pronipoti di chi ha invece preso decisioni coscienti in un momento in cui era necessario e fondamentale, come i protagonisti di The Post. Non è naturalmente un caso che i due film siano stati girati quasi in simbiosi, così apparentemente agli antipodi, eppure complementari. Ma se nelle stanze di un giornale Spielberg ha rimesso in scena la Storia, qui va ben oltre.
Racconta non solo l’America, ma la società contemporanea, in un compendio del suo cinema e di quello che ha sempre amato. Wade sfida il potere dicendo Prova a prendermi, è l’alieno a cui si dà la caccia ma che, come un bravo Precog, riesce a prevedere le mosse criminali dei cattivi. Gioca con i generi, Spielberg, fondendo fantascienza, commedia romantica, dramma, western, buddy movie, mettendo in pratica le lezioni dei suoi maestri, da John Ford a Billy Wilder.
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Soprattutto, riesce a coronare un sogno, quello di elaborare un’opera kubrickiana, e non per la bellissima sequenza in cui lo cita apertamente.
Ready Player One è un moderno Arancia meccanica
In cui l’Oasis è la Cura Ludovico definitiva su scala planetaria, il luogo in cui tutte le emozioni vengono scaricate e uploadate. Wade è Alex, ma anche Sir Lyndon, una figura che si aggira in una realtà enorme in cui è solo una pedina inizialmente ignara.
E come lo erano quelli di Kubrick, è un film assolutamente sovversivo, che istiga alla ribellione, alla rivolta, culturale, ideologica. E in tutto questo c’è il cinema, all’ennesima potenza, tecnologicamente oltre, linguisticamente sperimentale nel suo essere trans-epocale, ma racchiuso in una struttura meravigliosamente classica, un viaggio di Parzifal di Preston Sturgess.
Sono queste le vere Easter Eggs, quelle che milioni di nerd cercheranno nel film nel corso degli anni sono il semplice regalo di Mr. Spielberg a chi è cresciuto con i Goonies e l’Atari, Akira e l’Apple II, e un altro milione di cose che sì, sono tutte, o almeno in buona parte, condensate in queste spettacolari due ore e venti.
Oggi ci si riempie spesso la bocca di una parola nel nostro povero Oasis contemporaneo, in cui tutti sono esperti di qualunque cosa, cinema compreso. Capolavoro.
Ready Player One è un capolavoro?
No, anche se lo sfiora, ma non importa. Adesso. Nel 2045 tutti si ricorderanno quando e dove lo avranno visto per la prima volta. E anche per la seconda e la terza. Creare la memoria e tramandarla. È questo che conta.