Diciamo la verità: il vero horror è nella mente dei fan ai tempi dei social, ma anche dei cinefili del vecchio tipo, nel constatare che la frenesia internazionale del remake stia toccando anche i mostri sacri (è il caso di dirlo) della cinematografia nostrana. Dario Argento, con il suo immaginario kitsch e le paure ancestrali portate sensualmente sullo schermo, con quel richiamo a certi pittori maledetti, non ce la dovrebbe toccare nessuno. E in effetti lui per primo non ha mai approvato questa nuova versione di Suspiria. E allora rassicuriamoli tutti sin da subito: respirate pure perché questo non è un remake del Suspiria di Argento.
Visione autorale, estetica, personalissima, quella di Luca Guadagnino, un autore che si fa sempre più interessante e coraggioso, che insegue la sua di visione, costi quel che costi. Tanto agli haters è abituato. Tanto persino Chiamami col tuo nome è stato criticato da chi vuole vedere solo maniera nel suo cinema, da chi non comprende che il sentimento a volte non è gridato, ma sottaciuto o sussurrato. Come in questa sua versione di Suspiria, berlinese dei tempi della Banda Baader Mehinof, legata a doppio filo con il terrorismo post Seconda Guerra Mondiale, femminista e femminino, viscerale, mestruale.
Laddove mestruale non sta per i soliti concetti pregiudiziali di “instabile” o “isterico”, bensì sottintende tutta una serie di sfumature proprie della donna, da forza generatrice, a furia punitrice, a sensualità sanguinolenta e inarrestabile, assolutamente mefitica eppure irresistibile. Il potere fra le gambe, l’origine del mondo. Ecco cosa sottende questa versione di Suspiria. E sì, fa paura a pensarci. Soprattutto al mondo maschile, che infatti certi concetti li rigetta e li etichetta per infantile difesa.
La danza e l’estetica al centro di Suspiria
Ci sono tutti i feticci di Guadagnino in Suspiria, presentato in anteprima alla Mostra di Venezia, dividendo la critica e il pubblico. A cominciare da Tilda Swinton, in questo film una e trina, un’icona non fissa, una vera dea monolitica, da temere e amare. Una Madre che accoglie e insieme genera repulsione, nella sua interpretazione coriacea, apparentemente fredda, con lava che scorre appena sottopelle e si intravede dai suoi occhi. Ci sono le coreografie, ispirate senza alcuna remora a quelle di Pina Bausch. E del resto, siamo in Germania questa volta. Peso che si restituisce alla Terra, corpi che sentono il richiamo ancestrale del Luogo che li ha generati. Per poi elevarsi. Curioso che in un film in cui la Danza ha una parte così preponderante siano pochissime le inquadrature sui piedi…
Suspiria è estetico, è calore insopportabile, tempo che procede lento, come lenta è la creazione, di coreografie e di riti magici. Figuarimoci quando le une sono legate agli altri, quando le une scatenano gli effetti degli altri. Danze macabre, in grado di uccidere. Donne consapevoli, di loro stesse e della loro sensualità. Per questo streghe. Da sempre.
Luca Guadagnino continua a parlare di politica sociale prendendone elitarie distanze
Come aveva fatto con il film precedente. Un fatto singolo, la storia di uno, per raccontare il mondo intorno. Con cliché, è vero, come l’assurda vicinanza al Muro. E ancora una volta un amore perduto, alla cui scomparsa però il protagonista non può arrendersi.
E quelle iniziali, AJ, incise in modo indelebile a memento perpetuo. Lo psichiatra, aggiunto da Guadagnino, è forse l’autore che osserva, che si lascia prendere dal mondo femminile, che dapprima incredulo poi cerca di comprenderlo, semplicemente decidendo di credere finalmente ad assunti che per un uomo erano inizialmente impossibili. Proprio per questo quello di Klemperer è probabilmente il punto di vista dello stesso Guadagnino, che sta osservando, studia, percorre una strada sempre più personale, ma ancora lontana dal punto di arrivo. Lui, interpretato sempre dalla Swinton, è proprio per questo l’alter ego maschile che completa il femminile.
Suspira è l’estetica più filosofica
Magnifiche coreografie, costumi già visti, ma comunque interessanti, un lavoro di ricerca a livello grammaticale e narrativo… Se Suspiria non è un film d’autore, allora al giorno d’oggi non sappiamo dire quale lo sia. Lento, eccessivamente lungo e prolisso, a tratti addirittura ridondante – ma come del resto lo sono alcuni incubi che le nostre menti reiterano attraverso gli anni – il Suspiria di Guadagnino è forse troppo chiuso, concluso, asserragliato nella visione dell’autore stesso. Difficile da decifrare per uno spettatore odierno. Forse non vuole nemmeno essere decifrato.
Lascia sospeso il respiro, il sospiro, l’affanno, fino alle scene finali, baccanali orgiastici di sangue e viscere, ancora una volta di una sessualità pornograficamente mestruale, magnifica, enfatica, superbamente prodiga di tutto ciò che antiche paure maschili rifuggono.
Un lavoro così sfugge alle definizioni dicotomiche di bello o brutto, riuscito o fallito, piacevole o fastidioso. Abbraccia gli opposti, come l’energia di una danzatrice che si sprigiona da ogni sua estremità verso direzioni diverse, come un corpo che vuole librarsi saltando e insieme aderire alla terra. È la femminilità e la danza, è la creazione artistica che viene sopra tutto, prima di tutto, a dispetto di tutto. Anche di Argento, dei fan e del botteghino. È femmina.